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27 febbraio 2010

Tutorial "Indovina Chi?"

Chi si accontenta gode, dice il vecchio adagio. I Raiders of the Lost Taxa godono molto.
Immaginate di essere dei paleontologi alla vigilia di Natale, e che riceviate in regalo la serie articolata di vertebre illustrata qua sopra. Come reagireste? Sareste frustrati dall'idea che con una tale sequenza di ossa non si possa dire molto, tranne che è un vertebrato (per definizione: animale con vertebre)? Vi lamentereste perché al vostro vicino di casa hanno regalato un cranio? O, come me, sentireste quel brivido eccitante generato dall'enigmatica sfida che vi viene posta davanti? Il vostro cervello ha la giusta dose di intuito, memoria e spirito di osservazione per accettare la sfida? Se non siete così malati da voler dedurre cosa sia l'animale basandovi solo sulla foto, potete leggere questo post Tutorial su un'ipotetico "Indovina Chi?"...
Tanto per cominciare, l'animale è di dimensioni relativamente significative. La scala metrica nella figura (il rettangolo bianco) è lunga 5 cm. La serie di quelle nove vertebre è lunga circa 60 cm. Ma, che vertebre sono? Innanzitutto, non sono tutte uguali, sebbene, chiaramente, formino una sequenza articolata, che in vita era quindi una serie continua di ossa adiacenti. Ma, quali ossa? Un collo? Un dorso? Un sacro? Una coda?
Le tre vertebre più anteriori hanno una forma particolare, mostrano coste e processi laterali fusi a formare una laminazione regolare, che è assente nelle vertebre successive. Una simile struttura è tipica delle vertebre sacrali, quelle su cui si collega il bacino. Quindi, abbiamo tre vertebre sacrali. In realtà, probabilmente le sacrali erano di più in vita, dato che la prima delle nostre non pare avere la forma tipica della prima sacrale, ovvero, in parte simile alle vertebre del dorso. Essa pare articolare con una probabile sacrale aggiuntiva, purtroppo assente. Quindi, se le prime 3 sono sacrali, le restanti 6 sono le prime vertebre della coda. Pertanto, abbiamo già qualche indizio su cosa ci troviamo davanti: un grosso vertebrato con almeno 3 sacrali ed una base della coda lunga circa 40 cm. Ora, in Natura esistono solo 2 gruppi animali con ossa sacrali formate da più di 3 vertebre: i mammiferi e i dinosauri. Scartiamo i mammiferi, perché essi non hanno vertebre caudali con archi neurali, spine e processi emali così prominenti (potrebbe essere un cetaceo, ma in tal caso non avremmo le ossa sacrali in quel modo, ovvero, con evidenti inserzioni per un bacino sviluppato). Quindi, è un dinosauro. Che dinosauro? Le caudali prossimali sono relativamente allungate e con lamine prespinali e centrodiapofiseali (ovvero, nella zona anteriore della spina e sotto il processo trasverso): queste lamine sono presenti solo nei saurischi. Che saurischio? Un sauropode? I sauropodi hanno centri più corti e robusti, archi più alti e processi trasversi caratteristici che occupano parte del centro e dell'arco. Inoltre, la faccetta articolare delle caudali, così alta e stretta, ricorda molti theropodi. Bene, come (probabilmente, dato il nome del blog) avevate intuito, è un theropode. Tenete presente che siamo partiti sapendo solo che le ossa erano una serie di vertebre. Ora sappiamo di avere davanti le ultime 3 sacrali e le prime 6 caudali di un theropode di taglia medio-grande. Un adulto? Non pienamente maturo, dato che le vertebre conservano la sutura tra centro e arco neurale non pienamente fusa. Quindi, una specie di grande dimensione. Che theropode? L'assenza di pneumatizzazioni nei centri sacrali esclude Tyrannosauridae, Torvosauridae, Carcharodontosauria, Therizinosauridae e Oviraptorosauria. La ridotta pneumatizzazione degli archi sacrali esclude gli abelisauroidi. Inoltre, nelle caudali l'assenza di espansioni distali dei processi trasversi e la forma non compressa dell'arco, nonché l'assenza di una fossa craniale alla spina neurale escludono Abelisauridae. L'assenza di carena ventrale nelle sacrali esclude Alvarezsauridae. La forma cilindrica della caudali prossimali e l'assenza di una superficie ventrale del sacro piatta e con un solco esclude Paraves. Le caudali mostrano delle robuste lamine centrodiapofiseali, simili a quelle osservate in Megalosauroidea e Megaraptora. Tuttavia, come detto prima, l'assenza di pneumatizzazione caudale esclude i carcharodontosauri (compresi i Megaraptora). Un Megalosauroidea? Forse, ma non Torvosauridae, dato che questi hanno articolazioni iposfeniche nelle caudali, sacrali pneumatiche e archi emali con processi craniali. Il nostro esemplare in effetti è un theropode bizzarro, privo di processi craniali degli archi emali. Tale "anomalia" è presente proprio in un megalosauroide, Baryonyx. Uno spinosauride? Questa potrebbe essere effettivamente l'interpretazione più plausibile dei dati in nostro possesso. Da dove viene il fossile? Esso proviene dalla Formazione Santana, in Brasile, la stessa da cui provengono Irritator ed il suo probabile sinonimo Angaturama, entrambi basati solo su resti cranici, ma chiaramente spinosauridi della taglia adatta per quelle vertebre. Quindi, non ci sono obiezioni per attribuire questa serie di vertebre ad uno spinosauridae. Ovviamente, solo resti più completi potranno confermare questa ipotesi, e validare un'eventuale attribuzione ad un genere già noto (ad esempio, Irritator)*.
Per la cronaca, buona parte di questa discussione è in parte descritta in Bittencourt e Kellner (2004), io ho espanso il numero di taxa a cui comparare le vertebre.

Ringrazio Jonathas de Souza Bittencourt per avermi inviato una copia del suo articolo.
*Nota Megamatriciale in PAUP: Anche se non è l'unica interpretazione più parsimoniosa possibile (dato che Megamatrice colloca provvisoriamente questo semplare come Neotheropoda incertae sedis non-Maniraptoriformes, non-Tyrannosauroidea, non-Carnosauria, non-Ceratosauria), la collocazione in Spinosauridae pare essere confermata almeno dal Majority Rule Consensus dell'analisi.
Bibliografia:
Bittencourt, J.S., Kellner A.W.A. 2004. On a sequence of sacrocaudal theropod dinosaur vertebrae from the Lower Cretaceous Santana Formation, Northeastern Brazil. Arquivos do Museu Nacional, Rio de Janeiro, v. 62, n. 3, p. 309-320.

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