(Rough) Translator

29 agosto 2008

Ben tornati, Avimimidi!


Nota introduttiva: Ringrazio Marco Auditore per avermi (come sempre con estrema solerzia) inviato la copia fresca fresca di He et al. (2008).

Similicaudipteryx yixianensis (He et al., 2008) è un nuovo celurosauro dalla Formazione Jiufotang (parte alta del Gruppo Jehol). Come indica il nome, questo teropode (del quale è nota buona parte della colonna vertebrale, parte dello scapolocoracoide, omero, ileo, pube e l’arto posteriore) è simile a Caudipteryx (dal quale si distingue stratigraficamente e per la presenza di due profonde ipoapofisi cervidorsali, per la maggiore pneumatizzazione presacrale, per il più alto rapporto pube/ileo, e per la presenza di un pigostilo (convergente con Nomingia, oppure sinapomorfia di un clade di oviraptorosauri pigostilati? Megamatrice sta lavorando proprio mentre sto scrivendo questo post... vediamo)). Tuttavia, tutte le similitudini citate tra i due generi sono simplesiomorfie condivise da altri oviraptorosauri basali (in particolare, Nomingia, Microvenator e Avimimus), e non possono costituire delle apomorfie a sostegno di uno status “caudipteride” per Similicaudipteryx: di fatto, per la presenza di pigostilo e per la maggiore pneumatizzazione presacrale, Similicaudipteryx è apomorficamente più simile a Nomingia (va notato che nessuno dei caratteri caudali a sostegno del legame con Nomingia è attualmente verificabile in Microvenator, vedi sotto).

Lasciamo lavorare Magamatrice...

Qualche ora dopo:

Il risultato di Megamatrice è estremamente interessante: l’inclusione di Similicaudipteryx ha modificato le relazioni interne a Oviraptorosauria precedentemente stabilizzatesi nelle analisi:

A dispetto del nome, Similicaudipteryx è sister-group di “Thecocoelurus” (vedere post relativo), e non è particolarmente prossimo a Caudipteryx: data la frammentarietà di “Thecocoelurus”, questa ipotesi si basa un solo carattere, la lunghezza della spina neurale cervicale (> 1/2 arco neurale: reversione alla condizione primitiva), e va presa con cautela. Indipendentemente dalla validità di quella relazione, è molto interessante il successivo sister-group di Similicaudipteryx emerso dall’analisi: è il (nuovo) nodo “Avimimus + Nomingia”. Pertanto, questi tre generi (e al più, “Thecocoelurus”) formano un clade di Oviraptorosauri basali distinto da Caudipteryx e dagli oviraptoridi... ovviamente, non può chiamarsi in altro modo se non: Avimimidae Kurzanov, 1981! In base a questa ipotesi, Avimimidae è diagnosticato dai seguenti caratteri: centri cervicali craniali subcircolari in vista craniale, assenza di carena ventrale nelle cervicali, presenza di pigostilo (più “avimimide” di così non si può!) e metatarso estremamente gracile. Nomingia ed Avimimus sono accomunati dal rapporto tibia/femore che è più elevato rispetto alla condizione in Similicaudipteryx (ciò mi induce a ipotizzare che Nomingia possa essere pienamente arctometatarsale).

Durerà questa ipotesi?

Bibliografia:

Barsbold R., Osmólska H., Watabe M., Currie P.J., &Tsogtbaatar K. 2000 - A new oviraptorosaur (Dinosauria, Theropoda) from Mongolia: the first dinosaur with a pygostyle. Acta Palaeontologica Polonica 45: 97–106.

He T., Wang X-L., & Zhou Z., 2008 - A new genus of caudipterid dinosaur from the Lower Cretaceous Kiufotang Formation of Western Lianoning, China. Vertebrata PalAsiatica 46(3): 178-189.

Kurzanov S.M. 1981 - On the unusual theropods from Upper Cretaceous of Mongolia [in Russian]. In: V.Û. Rešetov (ed.), Iskopaemye pozvonočnye Mongolii. Trudy, Sovmestnaâ Sovetsko−Mongol’skaâ paleontologičeskaâ èkspediciâ 15: 39–50.

27 agosto 2008

Non proprio sui teropodi... ma pur sempre dinosauri

Ho un nuovo post su Ultrazionale che ha a tema i ceratopsi. Per visitare, cliccate sul titolo di questo post.

25 agosto 2008

Doctor Kause NON è Daved (sic) Krause!

Dannati errori di Wikipedia!
Leggete qui...http://commons.wikimedia.org/wiki/Image:Spinofossilskull.jpg. (basta cliccare sul titolo del post)...

Hanno trasformato il mio soprannome per i post paleontologici su Ultrazionale nel nome (vero!) del paleontologo americano David Krause
(http://gibbon.anat.sunysb.edu/Department/dkrause.html)...
"(Original text : Daved Krause - Paleontological Division)"... (!) Da non credere: già che c'erano, hanno persino sbagliato il nome di Krause (che è David e non Daved)...

Mi dispiace per lui, paleontologo serio, che viene associato al sottoscritto, paleontologo ultra-demenziale...
Per la cronaca, la foto (scattata dal sottoscritto nel 2004) mostrata su Wikipedia (e presa da Ultrazionale) è Simone Maganuco con l'esemplare di Spinosaurus milanese.

L'altra metà del cielo teropodologico

La paleontologia dei teropodi sembra, a prima vista, materia per uomini. In effetti, i nomi più ricorrenti sembrano quelli di paleontologi di sesso maschile quali Marsh, Osborn, von Huene, Stromer, Colbert, Ostrom, Bakker, Currie, Bonaparte, Novas, Sereno, Xu, Chiappe, Coria... e altri. Tuttavia, questa preponderante egemonia maschile (spesso retaggio di un pregiudizio maschilista che vede la paleontologia una materia alla “Indiana Jones” e quindi “appannaggio” maschile) non rende giustizia alla preziosa produzione paleontologica femminile. Questo post rende loro l’omaggio e la stima che meritano, perché non esiste (per me) essere più sublime di una paleontologa dei teropodi. Inoltre, vuole essere di incoraggiamento e stimolo per le eventuali lettrici di questo blog, affinché si impegnino ad allungare questa lista.

Non pretendo con questa serie di essere esaustivo e completo nell’illustrare le paleontologhe che hanno contribuito e contribuiscono alla scienza dei teropodi, ho solo citato quelle che mi sono venute immediatamente in mente (disposte secondo una serie vagamente cronologica basata sui taxa descritti)... se qualche personaggio è stato dimenticato, faccio leva sui commenti solerti dei miei lettori per aggiunte e correzioni.

Mignon Talbot (Podokesaurus).

Halszka Osmólska (Deinocheirus, Elmisaurus, Hulsanpes, Borogovia, Bagaraatan, Nomingia). Fu co-editore di entrambe le edizioni finora redatte del monumentale “The Dinosauria”. A lei sono stati dedicati l’oviraptoridae Citipati osmolskae ed il nuovo dromaeosauridae Velociraptor osmolskae.

Angela Milner (Baryonyx)... Da qualche parte ho una sua foto bellissima con il neotipo di Spinosaurus... ma non riesco a ritrovarla.

Angela Buscalioni (Pelecanimimus, Concornis, Eoalulavis).

Patricia Vickers-Rich (Timimus, Tyrannotitan).

Catherine Forster (Rahonavis, Masiakasaurus, Vorona, Guanlong).

Julia Clarke (Apsaravis, Vegavis, Mahakala, Pengornis).

Sunny Hwang (Huaxiagnathus, Shanag).

Lindsay Zanno (Falcarius).

Jingmai O’Connor (Dalingheornis, Zhongornis).

Theropoda torna a regime!

Da oggi le trasmissioni di "Theropoda" ritornano alla normale frequenza!
Approfitto per ringraziare tutti coloro che in questo mese hanno espresso apprezzamenti in questa sede ed altrove, e che non sono stati ringraziati tempestivamente a causa delle limitazioni estive!

19 agosto 2008

Quo Vadis, Zhongornis?



Sulle analisi filogenetiche dovrebbero essere affissi cartelli come in certi locali notturni: “Solo per adulti!”.
La Legge Biogenetica Fondamentale dice che “l’ontogenesi (la storia individuale) ricapitola la filogenesi (la storia evolutiva)”. Io ho sempre detestato il semplicismo di questa formulazione, pur essendo consapevole del suo fondo di verità (per quanto blando). La legge potrebbe essere formulata in maniera più elegante dicendo che, siccome l’ontogenesi è un programma codificato geneticamente, come ogni tratto genetico essa tende ad essere tanto simile in due specie quanto più queste saranno vicine filogeneticamente. Il risultato di tale legge (indipendentemente da come la formuliate) è che i giovani di due specie imparentate tendono ad assomigliarsi più degli adulti. Corollario di questo risultato: i giovani di una specie derivata da un processo di aggiunta di un carattere lungo fasi tardive dell’ontogenesi possono assomigliare ad adulti degli antenati.
Questa introduzione vi aiuterà a comprendere i miei dubbi nei confronti dell’istituzione di un nuovo aviale basale, la cui presunta posizione filogenetica sembra fortemente condizionata dallo stadio ontogenetico dell’unico esemplare noto attribuito a tale specie. Ringrazio Jingmai O’Connor per avermi fornito l’articolo in questione, compresa una Errata Corrige alla loro matrice.
Zhongornis haoae Gao, Chiappe, Meng, O’Connor, Wang, Cheng & Liu, 2008, è un aviale basale dalla Formazione Yixian del Cretacico Inferiore Cinese. L’unico esemplare noto è chiaramente un esemplare giovanile, come evidente dalla proporzione della testa e dal grado di ossificazione dello scheletro. Nondimeno, gli autori lo ritengono, sulla base della presenza di piumaggio remigante, sufficientemente maturo per “rappresentare” la condizione adulta della specie, e di diagnosticarla in base ad alcuni caratteri (secondo loro, vedere sotto) non collegati all’ontogenesi: assenza completa di denti (convergente, tra gli aviali basali, con Confuciusornithidae), presenza di 13-14 caudali distinte non-ossificate (questo carattere è legato all’ontogenesi, dato che è presente anche in esemplari di giovani pigostiliani come Dalingheornis), un coracoide allungato ed espanso prossimalmente (morfologicamente simile a quello di un confuciusornithide), cresta deltopettorale non perforata (plesiomorfia e carattere probabilmente legato all’ontogenesi, come ho sottolineato nel mio post su Eoconfuciusornis), ed una formula falangeale 2-3-3-x-x con la peculiarità che il terzo dito ha solamente due falangi intermedie tra il metacarpo e l’unguale. Altro carattere ritenuto diagnostico è la presenza di un unguale del primo dito della mano più ampio degli altri (condizione simile accade in Confuciusornithidae, ma per la marcata riduzione del secondo unguale). Come ho appena mostrato, molti caratteri diagnostici sono plesiomorfie fortemente condizionate dallo stato ontogenetico, e potrebbero non essere presenti nell’adulto. Curiosamente, buona parte di questi caratteri sono probabilmente presenti nei giovani confuciusornitidi (vedere post su Eoconfuciusornis). Gli autori affermano che la presenza di piumaggio remigante sia garanzia che l’esemplare è prossimo alla morfologia adulta, tuttavia, faccio notare che tutti i dinosauri non-Neoaves sono precoci o iperprecoci, e che pertanto acquistano un tegumento adulto già dopo la schiusa (se non prima). Pertanto, trovo la loro argomentazione piuttosto debole.
Un carattere che sembrerebbe fortemente a sostegno della validità del genere Zhongornis è la formula falangeale della mano, risultante dalla perdita di una falange non-unguale nel terzo dito, unica tra gli uccelli mesozoici. Tuttavia, ho dei dubbi sul fatto che la mano di Zhongornis sia effettivamente così derivata. Innanzitutto, solo la mano sinistra è sufficientemente completa per essere valutata, quindi non abbiamo modo di verificare se la curiosa morfologia osservata sia presente anche nell’altra mano. Cosa voglio dire? Ho dei dubbi sul fatto che effettivamente il terzo dito abbia solo tre falangi (due non-unguali + un unguale). Penso che la falange “scomparsa” sia in effetti presente, ma solo coperta da un’altra falange del dito adiacente (il secondo). Questo non sarebbe il primo caso, dato che si verifica per la dislocazione del secondo dito sopra il terzo anche in alcuni esemplari di Confuciusornis (vedere immagine sotto): in Confuciusornis la prima falange del terzo dito è molto ridotta e sovente può essere coperta dalla robusta prima falange del secondo dito. Se, come mi pare plausibile da quanto detto sopra, Zhongornis è un esemplare giovanile di un confuciusornithide (e non una forma più basale, come sostengono gli autori e come critico qui sotto), è possibile che avesse una ridotta prima falange del terzo dito, coperta post-mortem dalla prima falange del secondo dito in questo esemplare.
In base ad un’analisi filogenetica degli aviali (che incorpora le principali analisi precedenti), gli autori affermano che Zhongornis sia sister-group di Pygostylia (che in questo studio è composto da Confuciusornithidae e da Sapeornis + Ornithothoraces: curiosamente, Sapeornis risulta più derivato dei confuciusornithidi, probabilmente proprio per l’effetto dell’inclusione di Zhongornis). Tuttavia, tale posizione esterna a Pygostylia, alla luce di quanto detto sopra, è molto debole, e si basa sulle seguenti condizioni di carattere:

1) il grado di fusione delle vertebre caudali distali è incompleto, e non ha un vero pigostilo: come detto sopra, la fusione del pigostilo è legata all’ontogenesi, e potrebbe manifestarsi solo nell’adulto.
2) ha più di 8 caudali libere (non fuse in un pigostilo): vale il medesimo discorso del punto 1).
3) assenza di ipetrofia nel trocantere posteriore del femore. Anche questo carattere è interpretabile come condizionato dallo stadio giovanile, e potrebbe essere presente nell’adulto.
4) assenza di fusione tra astragalo, calcagno e tibia. Anche questo carattere è (palesemente) condizionato dallo stadio ontogenetico, e potrebbe essere presente nell’adulto.

In conclusione, dato che l’esemplare è chiaramente giovanile, permane il dubbio che le supposte plesiomorfie a sostegno di una posizione più basale di Pygostylia possano non essere presenti nell’adulto (il quale potrebbe risultare in posizione più derivata), ovvero, potremmo essere davanti ad un caso riconducibile al corollario citato all’inizio di questo post. Inoltre, ho dei forti dubbi sul fatto che la formula falangeale sia quella proposta ed apparente dall’unica mano completa. L’eventualità che sia un giovane confuciusornithide è una possibile spiegazione alternativa sia delle caratteristiche scheletriche, sia dell’eventuale “assenza/invisibilità” della prima falange del terzo dito.

Al fine di verificare queste ipotesi, ho immesso Zhongornis in Megamatrice codificandolo solo per i caratteri non influenzati dall’ontogenesi e lasciando “condizione sconosciuta” (“?” in matrice) per tutti quei caratteri che si manifestano in stadi tardivi dell’ontogenesi (in particolare le fusioni tra ossa): così facendo, esso risulta un Confuciusornithidae sulla base di almeno tre caratteri dell’arto anteriore: primo metacarpale più lungo del 25% del secondo (reversione dalla condizione aviale); secondo dito più lungo del 80% dell’omero; primo unguale più lungo ed ampio del secondo.
Questo risultato conferma i miei dubbi sull’ipotesi interpretativa di Gao et al. (2008) e rimarca la necessità di essere estremamente cauti nell’uso di esemplari giovanili nelle analisi filogenetiche.

Bibliografia:
Gao C., Chiappe L.M., Meng Q., O’Connor J.K., Wang X., Cheng X., & Liu J., 2008 - A new basal lineage of Early Cretaceous birds from China and its implications on the evolution of the avian tail. Palaeontology, 51: 775–791.

Ordini di grandezza... cenomaniana


Attualmente, al Museo di Storia Naturale di Milano sono presenti i resti non dentari di due generi di teropodi del Cenomaniano. Per una curiosa casualità, entrambi provengono dal nord della Placca Africana, ed essendo separati solamente da qualche milione di anni, è possibile che rappresentino due generi che sono convissuti nei medesimi ambienti. Questi due teropodi sono peculiari anche perché rappresentano i due estremi di taglia attualmente nota per dei teropodi mesozoici: il primo, Spinosaurus, con più di 15 metri di lunghezza stimata (e relative 5-10 tonnellate, a seconda del metodo di stima) è all’estremo superiore; il secondo, Enantiophoenix, con circa 15 cm di lunghezza stimata (e pochi grammi di massa), sta all’estremo opposto della taglia dei teropodi.
Dato che Spinosaurus è cento volte più lungo e circa centomila volte più pesante di Enantiophoenix deduciamo che (almeno nel Cenomaniano, ma non solo) la massa dei teropodi si distribuisse lungo cinque ordini di grandezza. Nessun altro gruppo di vertebrati terrestri predatori ha mai avuto una così ampia disparità di taglie al suo interno.

In Coda al precedente post...

Nel post precedente concludevo con un’esortazione a dare maggiore attenzione ad una parte dell’anatomia teropode che generalmente è poco osservata dagli appassionati di questo clade. In quel caso particolare mi riferivo al metatarso, tuttavia, il discorso si può estendere all’intero scheletro, dato che, purtroppo, ho l’impressione che molti si concentrino troppo su denti, mascelle, ornamentazioni craniche (quando presenti) ed artigli, tralasciando il resto (probabilmente perché si presume, sbagliando, che nel resto dello scheletro i teropodi siano pressappoco tutti uguali). Qualsiasi regione anatomica è invece carica di significato, ed è ricca di dettagli interessanti (altrimenti non avrei ricavato di più di 1000 caratteri per Megamatrice).
Questo post è un seguito del precedente, nasce da un commento riguardante l’agilità dei teropodi e vuole ispirarsi all’introduzione di qui sopra. Confesso che il commento da cui scaturisce questo post mi ha fatto sorridere, non tanto perché l’autore è un amico naturalista non-paleontologo, quanto perché sembra (almeno a me) indotto da un pregiudizio “sciovinista” mammaliano-centrico, che ritiene il bipedismo una forma di “quadrupedismo a metà”. In breve, il commento chiedeva delucidazioni sulle agilità dei teropodi, in particolare alle loro prestazioni in caso di “inversione di marcia”. Se ho inteso il senso della domanda, viene chiesto se un teropode sia in grado di essere agile nel cambiamento di direzione durante il moto almeno quanto un essere umano (che, ricordo a tutti quelli che seguono le Olimpiadi in questi giorni, è un bipede ex-arboricolo evolutosi per camminare ma che rimane un mediocre corridore se confrontato con i mammiferi e gli uccelli della sua taglia, spesso capaci di andare al doppio della sua velocità massima). Si potrebbe rispondere rapidamente facendo osservare che è estremamente difficile per un uomo afferrare una gallina se questa sta scappando: sebbene non sia particolarmente veloce nella corsa (non più di un uomo, a dimostrazione di quanto noi siamo lenti in rapporto alla nostra massa) è capace di repentini cambi di direzione che rendono il suo inseguimento veramente estenuante (di fatto, per prendere una gallina si tende a sorprenderla furtivamente con un agguato, non ad inseguirla). Dato che il mio amico probabilmente si riferiva ai teropodi medio-grandi e non a quelli piccoli come un pollo, non potrò limitarmi all’esempio appena citato.
(Nota antropologica: il bipedismo umano, che è di tipo eretto con colonna vertebrale mantenuta verticale, non è particolarmente adatto alla corsa. Infatti, quando corriamo siamo costretti a piegarci in avanti, assumendo una postura semi-orizzontale, per compensare che l’asse principale del nostro corpo normalmente è perpendicolare alla direzione del moto. I teropodi, che sono bipedi a colonna vertebrale orizzontale, non hanno i nostri svantaggi locomotori, giacché il loro asse corporeo principale coincide sempre con quello della direzione di moto).
Innanzitutto, l’anatomia pelvica dei teropodi è la stessa di quella dei grandi uccelli corridori, pertanto non esistono ragioni per negare che avessero analoghe prestazioni muscolo-scheletriche. Indipendentemente dalla velocità dell’animale, la capacità di cambiare direzione durante il moto dipende dalla presenza di strutture anatomiche che permettano lo spostamento del baricentro corporeo senza provocare pericolosi squilibri, ovvero dipende dalla presenza di elementi corporei bilancieri e stabilizzatori* del moto.
Il principale elemento stabilizzatore dei teropodi è la coda. Numerosi fattori avvalorano questa interpretazione. Primo: un fenomeno analogo si osserva in mammiferi saltatori-scattisti, come i canguri o molti grandi felidi, nei quali la coda è un elemento fondamentale nell’equilibrio e nella stabilizzazione durante la corsa ed il salto. Secondo: la coda della maggior parte dei teropodi ha una serie di modifiche che si spiegano proprio vedendo la coda come un elemento stabilizzatore (le descrivo sotto). Terzo: sebbene ridottissima, la coda dei teropodi attuali (gli uccelli) ha una funzione di stabilizzatore (nel volo), funzione che potrebbe essere un retaggio ereditato dai teropodi precedenti.
Vediamo nel dettaglio il punto secondo. Quali sono le caratteristiche della coda dei teropodi che ci portano a vederla un adattamento per permettere un’elevata agilità e manovrabilità nel moto? La coda della maggioranza dei teropodi si differenzia da quella degli altri rettili per il fatto di essere “fortemente regionalizzata”. In generale, le code rettiliane mostrano una graduale riduzione dei processi muscolari (spina neurale, zigapofisi e processi trasversi) man mano che ci portiamo verso la fine della coda (in termini anatomici, in posizione distale). Nei teropodi, invece della riduzione graduale di quei processi abbiamo un passaggio brusco (che si risolve in poche vertebre) dalla morfologia della regione anteriore (prossimale) della coda a quella della distale: dopo tale punto di passaggio (detto “punto di transizione” della coda) i processi trasversi e la spina neurale scompaiono rapidamente, mentre le prezigapofisi si allungano marcatamente, sovrapponendosi alla vertebra posta anteriormente. Gli stessi centri vertebrali seguono questo trend, divenendo più bassi, compressi ed allungati dopo il punto di transizione. Il risultato di questa regionalizzazione è che la coda è divisa in due zone: l’anteriore (prossimale) è muscolosa e mobile e funge da ancoraggio dei principali muscoli retrattori del femore, la zona posteriore (distale) è poco muscolosa, molto rigida (per la sovrapposizione delle zigapofisi, che nel caso estremo dei dromeosauridi comporta prezigapofisi lunghe più di cinque volte la vertebra da cui partono) e funziona come un’unica asta flessibile che funge da stabilizzatore e timone nel moto, mossa dalla metà prossimale.
L’importanza di questo adattamento è tale che esso ha dato il nome al principale clade di neoteropodi, Tetanurae, letteralmente “code rigide” (anche se va ricordato che tale carattere è presente anche in altri teropodi non-tetanuri, come gli abelisauroidi e gli herrerasauridi).
Un aspetto interessante di questa regionalizzazione è che essa persiste ancora negli uccelli (sebbene abbiano code ridottissime): le prime 4-8 vertebre della coda sono mobili e munite di processi muscolari, mentre la restante parte distale (6-8 vertebre) è fusa in un unico elemento rigido (il pigostilo) su cui si inseriscono le penne timoniere (che servono appunto per i cambi di direzione in volo). Per l’ennesima volta, un carattere ritenuto “tipico ed esclusivo” degli uccelli si è rivelato essere un’invenzione dei teropodi non-aviani.

Ultima nota. Curiosamente, il punto di transizione (cioè la brusca modifica delle caudali) si perde nei therizinosauri e negli oviraptorosauri (per convergenza, dato che sia i terizinosauri basali che gli oviraptorosauri basali conservano il punto di transizione nelle loro code), probabilmente a seguito di specializzazioni della loro locomozione che non richiedeva una marcata regionalizzazione. Recentemente, ho scoperto che anche un altro gruppo di teropodi sembra aver modificato le proprie code, perdendo la rigidità della zona distale (ovvero riducendo le prezigapofisi delle vertebre distali al punto di transizione e conservando una marcata spina neurale). Forse ciò avvenne perché questo gruppo si adattò ad un nuovo stile locomotorio. Ma di tutta questa interessantissima questione vi parlerò in un’altra occasione...


*Da questo punto di vista, i grandi uccelli attuali hanno probabilmente un (apparente) handicap che i loro parenti mesozoici non hanno: dato che struzzi, emù e gli altri ratiti discendono da uccelli volanti (ovvero animali che hanno modificato il loro corpo per renderlo stabile in volo) hanno perso le caratteristiche pienamente terrestri dei loro predecessori non volanti. In breve, il baricentro degli uccelli è sbilanciato in avanti, verso le ali: ciò ha imposto nei ratiti una riorganizzazione anatomica per “ritornare” funzionalmente dei corridori terrestri come erano i teropodi non-volatori, aventi il baricentro a livello del bacino (il punto di scarico del peso in ogni bipede).

13 agosto 2008

Così, su due piedi...


I veicoli umani e le macchine biologiche sono soggetti a vincoli fisici simili, che ne plasmano in maniera analoga il comportamento. Una bicicletta ferma è un oggetto staticamente improponibile: per questo abbiamo inventato il cavalletto. Per una serie di principi dinamici che tendiamo a dimenticare mentre pedaliamo, non appena la bicicletta supera una certa velocità acquisisce una propria stabilità dinamica, che la mantiene in equilibrio sulle sole due ruote (almeno fino al prossimo tornante stretto con fondo ghiaioso/fangoso). Al contrario dei veicoli a due ruote, quelli a quattro ruote sono stabili anche da fermi o a basse velocità.
I vertebrati terrestri seguono leggi simili. Quelli quadrupedi sono stabili da fermi, a basse velocità e ad alte velocità. Al contrario, i bipedi, come le biciclette, tendono ad essere instabili alle basse velocità e da fermi, mentre sono più stabili ad alta velocità. Di conseguenza, in andatura bipede è più facile correre che camminare o mantenersi fermi su due zampe (senza appoggi supplementari). Probabilmente non ci avrete mai fatto caso, ma il muscolo più grande del vostro corpo, il gluteo, assolve principalmente ad una funzione: non farvi cadere a terra quando siete fermi o camminate. Il bipedismo eretto umano è tra le più strane forme di locomozione evolutesi, e richiede un enorme investimento energetico e cerebrale anche solamente per mantenere fermo un corpo avente il proprio asse principale diretto verticalmente. Riassumendo, è più probabile evolvere un bipede facoltativo scattista (che da fermo e a bassa velocità torna quadrupede) piuttosto che un bipede camminatore o addirittura permanente.
In generale, il bipedismo è la forma di locomozione più complessa possibile per un animale terrestre, ed è l’ultima ad essere comparsa. In base a quanto detto sopra (ovvero che la camminata bipede è più instabile e quindi energeticamente e neurologicamente più dispendiosa della corsa bipede) non troverete strano il fatto che la camminata bipede si sia evoluta raramente rispetto alla corsa bipede. Almeno una dozzina di taxa di amnioti svilupparono forme di locomozione bipede rapida, facoltativa, alternata al classico quadrupedismo, mentre solo due svilupparono anche la camminata bipede ed il bipedismo obbligatorio. Corridori bipedi sono presenti fin dal Permiano. I pararettili come Eudibamus erano probabilmente dei bipedi facoltativi che sfruttavano scatti da bipedi per la fuga o la predazione di insetti, in maniera analoga a molte lucertole attuali (come il basilisco americano ed il clamidosauro australiano). Altri possibili quadrupedi capaci di scatti bipedi erano molti arcosauriformi basali del Triassico, come Euparkeria. Il bipedismo scattista facoltativo si è evoluto anche tra i mammiferi. I canguri sono l’esempio più noto. Più che corridori, tuttavia, i mammiferi bipedi facoltativi sono dei saltatori che spingono le gambe in coordinazione, incapaci di un vero passo alternato: ciò è dovuto ad un curioso vincolo della loro storia evolutiva che li rende poco portati alla camminata bipede (e che impose una contorta modifica pelvica ai nostri antenati ominidi quando diventarono bipedi). Uno scimpanzè è capace di correre per brevi tratti da bipede, ma è impacciato e affaticato se costretto a camminare lentamente senza l’ausilio delle braccia. Difatti, esso non dispone dei nostri enormi glutei, che hanno tanto successo nella competizione sessuale (...è un caso che un carattere locomotorio tipicamente umano, che deve aver inciso nel nostro successo evolutivo, sia anche uno dei nostri maggiori stimoli sessuali?). Anche tra i roditori e tra qualche placentale basale paleogenico si svilupparono forme di corsa saltatoria bipede facoltativa. Tuttavia, va notato subito, tutti questi animali citati restano fondamentalmente dei quadrupedi, adattati a spostarsi velocemente con balzi degli arti posteriori ma incapaci di camminare bipedalmente. In effetti, come detto sopra, il bipedismo più evoluto, obbligatorio (non-facoltativo) e sopratutto capace anche di mantenersi stabile a bassa velocità (quindi capace di camminare per lunghi tratti) si è evoluto solamente due volte nella storia animale: in Hominidae ed in Dinosauria.
A parte la piccola parentesi plio-pleistocenica di alcune scimmie bipedi capaci di camminare (per giunta come plantigradi, quindi in maniera non particolarmente elegante... ecco l’esigenza dei tacchi alti alle sfilate) il capolavoro della meccanica e dell’eleganza, il bipedismo perfetto, digitigrado, capace di correre e camminare alternando un passo alla volta (e non saltando come canguri) si è evoluto solamente in Dinosauria, un clade che ha saputo fare di una simile perfezione locomotoria il marchio per la supremazia negli ambienti terrestri per oltre 160 milioni di anni, e che ancora oggi calca le terre con diecimila specie di bipedi (pari a quelle di tutti gli altri rettili e mammiferi quadrupedi esistenti messi assieme). In effetti, il successo dei dinosauri sta molto nelle loro gambe. Le inserzioni muscolari sull’ileo si allungano sia cranialmente che caudalmente (aumentando l’efficienza delle leve), la testa del femore si differenzia e si proietta nell’acetabolo, i condili distali del femore si arrotondano, la fibula si riduce e si appressa alla tibia (impedendo di fatto la torsione della gamba), l’articolazione della caviglia si fa mesotarsale (astragalo e calcagno si fissano alla tibia, mentre gli altri tarsali si riducono e si fissano al piede) così che non è possibile più alcuna rotazione laterale del piede, che scorre solamente in senso estensorio-flessorio, il piede si fa simmetrico e pienamente digitigrado, con il terzo dito che prende il posto del quarto come asse principale, mentre il primo ed il quinto dito perdono quasi completamente una funzione locomotoria: il risultato è la camminata parasagittale perfetta, fluida ed armoniosa, rimasta impressa in centinaia di piste nel mondo. Nei teropodi questa tendenza raggiunge l’apice, permettendo ciò che ancora oggi è impossibile alla tecnologia umana, ovvero l’esistenza di un camminatore stabile bipede di svariate tonnellate.
Ogni volta che osservo da vicino un piede di Tyrannosaurus* non posso che provare una vera e propria estasi paleontologica, catalizzata dalla conoscenza del significato meccanico e dal marchio storico dei vari dettagli che compongono la sinfonia delle sue ossa: l’efficienza della caviglia mesotarsale dinosauriana, la simmetria del piede teropode, l’eleganza arctometatarsale dei celurosauri e la possente graviportalità dei Tyrannosaurinae.
*Come le gambe del cervo della famosa favola, anche i piedi di Tyrannosaurus sono disprezzati (o dimenticati) da buona parte del pubblico appassionato di paleontologia. Il cranio, i denti e gli arti anteriori sono generalmente l’oggetto dell’interesse maggiore, mentre la meravigliosa anatomia ibrida del suo piede arctometatarsale e contemporaneamente graviportale suscita scarse attenzioni. Ciò è, purtroppo, l’effetto della miopia del pubblico grossolano, poco portato ai dettagli che non siano riconducibili a zanne o artigli. La prossima volta che vedrete dal vivo uno scheletro di Tyrannosaurus, provate ad abbassare lo sguardo, per godervi la straordinaria anatomia dei suoi metatarsi.

09 agosto 2008

Le dimensioni contano

La taglia di un animale, in particolare la massa adulta, è un parametro particolarmente significativo in ecologia. La massa è correlata al tasso metabolico, alla longevità, alle dimensioni della popolazione, ed incide in parte sulla posizione all’interno delle reti trofiche (le vecchie catene alimentari). Determinare la massa (o in generale, la taglia) di un fossile è quindi un utile modo per accrescerne la conoscenza, oltre che un buon parametro per visualizzarlo “in vivo”.

Indipendentemente dal grado di completezza di un fossile, la massa può essere determinata (ovvero misurata direttamente) oppure stimata (ovvero calcolata indirettamente). Il primo risultato è più attendibile, anche se spesso è fortemente condizionato dalla completezza dello scheletro. Mentre per “Sue”, il più completo Tyrannosaurus noto, è possibile sia determinare che stimare la massa, per scheletri estremamente frammentari come Alectrosaurus (noto solamente da un arto posteriore) è possibile solo stimarla con metodi indiretti.

Vediamo entrambi.

La determinazione migliore della massa da uno scheletro si effettua tramite una ricostruzione dell’animale in vita, generalmente in scala (dubito che sia economicamente sensato determinare la massa di Argentinosaurus ricostruendolo in scala 1:1). Mentre fino a pochi anni fa le ricostruzioni erano tutte su modelli reali, oggi è possibile effettuare anche ricostruzioni virtuali 3D. Una volta effettuata la ricostruzione, si misura il suo volume, e da questo, tramite il vecchio calcolo Volume x densità, si ottiene la massa. Fin qui sembrerebbe semplice, ma ci sono alcune precisazioni da sottolineare.

Primo: tanto più la ricostruzione sarà grossolana, tanto più la misura sarà “sballata”. Ricordo che per oltre 30 anni la stima della massa più divulgata per Brachiosaurus è stata di 78 tonnellate (un valore che a me è sempre sembrato mostruosamente esagerato, pari a una decina di elefanti africani adulti... che non sono dei vitelli...) a causa della determinazione effettuata da Colbert su un modellino iper-obeso e grossolano di Brachiosaurus, chiaramente sbagliato... Bisogna attendere Paul, che con i suoi ben più realistici modellini (basati sui suoi disegni) ha dato a quel sauropode la ben più sensata massa di 36 tonnellate (valore notevole, ma non grottesco come il precedente). Pertanto, se la massa dipende dal volume, il quale dipende dalla ricostruzione, la quale dipende dalla nostra grossolanità, capite quanto bisogna essere cauti con qualsiasi valore di massa per un animale estinto. Dire “Brachiosaurus pesa 36 tonnellate” non è una verità assoluta, è solo più plausibile che dire “Brachiosaurus pesa 78 tonnellate”. Allo stesso modo, è ridicolo discutere se una stima di 38 tonnellate sia più probabile di una di 34... (purtroppo a volte sento/leggo simili diatribe).

Secondo: la densità di un animale estinto, del quale restano solamente le impronte rocciose delle ossa (e mai tutte) è un dato inesistente, che deve essere ricavato dagli animali attuali. Senza entrare in una discussione infinita, è plausibile che la densità dei dinosauri fosse comparabile a quella di coccodrilli e uccelli, e che quindi variasse tra 0.8 e 0.9 (forse le specie con scheletri più pneumatizzati avevano valori più bassi di specie con ossa più compatte).

Quindi, se avete realizzato un modello che ritenete plausibile, in scala 1:X con l’originale, non dovete fare altro che moltiplicare il volume del modellino per X3, poi moltiplicare il valore ottenuto per la densità ed otterrete la massa dell’originale.

Se non disponete di scheletri ben conservati, non avete plastilina, cartapesta, cilindri graduati, non siete bravi scultori e sopratutto non avete tempo per allestire una ricostruzione, potete comunque stimare la massa con metodi indiretti, più rapidi ma meno sicuri.

Il più diffuso metodo di stima della massa è basato sulla sezione delle ossa propodiali (omero e femore). Dato che negli animali attuali la sezione del propodio è ben correlata con la massa, si può ricavare la massa di un fossile misurando tale sezione. Metodi analoghi sono la circonferenza o la lunghezza dell’osso (la correlazione è più bassa che con la sezione, ma è ancora accettabile per avere una stima plausibile). Dato che i teropodi sono bipedi obbligati, l’omero non partecipa al supporto del corpo, quindi non deve essere incluso nella stima: basta il femore.

Dato che la lunghezza del femore è uno dei valori più diffusi in letteratura (nonché ricavabile dalle immagini), esso è uno dei parametri più immediati per stimare la massa e per confrontarla tra diversi taxa. A questo proposito, avvertenza (che probabilmente non interesserà a molti, dato che si riferisce ad un gruppo che purtroppo risulta poco interessante per il “teropodista medio”): gli Ornithothoraces, in particolare i Neornithes, hanno modificato significativamente la loro postura femorale, a seguito della estrema riduzione della coda. Per sopperire a tale variazione di postura, il loro femore è significativamente più corto e robusto che negli altri dinosauri: pertanto, non è possibile effettuare la stima della massa partendo dalla lunghezza femorale usando le formule tarate sugli altri taxa, altrimenti si corre il rischio di sottostimare significativamente le loro masse (e viceversa, se tentaste di usare le formule tarate sui neorniti attuali per i non-neorniti mesozoici otterreste delle sopravvalutazioni delle masse).

In conclusione, le masse (e le lunghezze) devono essere prese con le dovute cautele. Dato che non abbiamo davanti animali vivi, ma solamente le loro rappresentazioni frammentarie, il margine di errore (e quindi l’inattendibilità dei valori) è significativo e va tenuto bene a mente.

Tyrannosaurus potrebbe anche essere stato di 7 tonnellate, oppure solo di 5... chi lo sa? Sicuramente era più pesante di Daspletosaurus.

08 agosto 2008

Indovina Chi...15


Avete voluto la bicicletta... e mò pedalate!

Le Chimere: miscugli tafonomico-mentali, figlie delle umane debolezze

In paleontologia, una chimera è un assemblaggio di resti ossei appartenenti ad almeno due taxa distinti, che viene erroneamente interpretato come un genuino taxon naturale. Le chimere sono, nella migliore delle ipotesi, l’effetto di fenomeni naturali (il mescolamento dei resti di animali distinti operato da agenti naturali prima e dopo la fossilizzazione), oppure, nella peggiore, artefatti umani (generati per creare fossili accattivanti da vendere o eclatanti scientificamente).

Alcune chimere hanno costellato la storia della paleontologia dei teropodi, sia di tipo “naturale-onesto” che “artificiale-disonesto”. Curiosamente, la maggioranza delle chimere è legata al dibattito sull’origine degli uccelli: un attrattore e catalizzatore di interessi e suggestioni capace di deformare l’occhio del paleontologo onesto (inducendolo a interpretare resti di taxa distinti come un solo animale) e, purtroppo, di stuzzicare il palato del fottuto falsario (come notate, non sono molto indulgente verso i produttori di chimere intenzionali).

Altri taxa, genuini, hanno invece una tale combinazione “anomala” di caratteri da poter essere scambiati per possibili chimere. Ciò è spesso l’effetto della nostra naturale tendenza a semplificare la realtà evolutiva: piuttosto che ammettere l’esistenza di una linea nuova ed “inattesa” tendiamo a vedere un nuovo animale dall’anatomia “ibrida” come un assemblaggio innaturale di taxa già noti e “previsti”.

Due esempi paradigmatici di entrambi i tipi di chimere.

“Protoavis” è la più enigmatica e discussa delle chimere “oneste”. Inizialmente interpretato come un uccello molto primitivo risalente al Triassico Superiore, avente una morfologia “ibrida” rispetto alle “aspettative filogenetiche” (più basale di Archeopteryx per il postcraniale, ma più derivato nel cranio) ed oggetto di un acceso dibattito, è risultato essere una chimera derivante dall’errata associazione dei resti postcraniali di un teropode basale (probabilmente un piccolo coelophysoide) e dei resti craniali di un rettile drepanosauride (due taxa che coesistono nella formazione da cui proviene “Protoavis”). Alcuni caratteri postcraniali dei coelophysoidi ricordano gli uccelli (in particolare l’estesa ossificazione del sacro e del tarsometatarso), mentre il cranio dei drepanosauridi è molto simile in alcuni tratti a quello degli uccelli (per convergenza, dato che il resto del corpo è quello di un diapside molto basale e preclude qualsiasi ragionevole ipotesi di parentela stretta): pertanto, è probabile che all’origine di “Protoavis” ci sia stato il classico mix di ossa giuste (simili a quelle di uccelli primitivi) nel posto sbagliato (in associazione) così da risultare plausibilmente vero.

“Archaeoraptor” è un ipotetico paraviale avente un mix di caratteri da dromeosauride e da uccello. Sebbene oggi sappiamo che tali “ibridi” sono realmente esistiti, in quanto la base di Paraves è ricca di forme aventi un mix dei caratteri ritenuti precedentemente “tipici” di Dromaeosauridae o di Aves (Jeholornis e Rahonavis ne sono i migliori esempi), è risultato che “Archaeoraptor” è un falso, un assemblaggio di parti di due paraviali distinti, per la precisione un dromaeosauride basale, Microraptor e un coevo uccello yanornithide. Un falso, artefatto apposta per ingannare e, probabilmente, per vendere bene: purtroppo la sua pubblicazione su National Geographic Magazine ha avuto l’effetto di amplificare più le polemiche contro l’ipotesi di un’origine dinosauriana degli uccelli (tramite un meccanismo il-logico di generalizzazione perversa che ha penalizzato i numerosi fossili genuini e la grandissima maggioranza degli onesti appassionati) piuttosto che accentuare nel pubblico la consapevolezza che i fossili sono un bene collettivo che richiede maggiore attenzione nei confronti di falsari e speculatori.

Nota finale. Notate come spesso il nome della chimera alluda alle intenzioni di chi la vede (per errore) o la costruisce (per lucro): i prefissi “Archaeo” e “Proto” sono la trasposizione nominale, e quindi l’investitura implicita, di un concetto evoluzionistico iper-semplicistico ed ingenuo, che pretende, spera e impone di rinvenire fantomatici “anelli di congiunzione” e “forme di transizione” nella documentazione fossile. Io non nego l’esistenza di organismi estinti la cui anatomia risulti essere, a posteriori, intermedia tra quella di altri, tuttavia, faccio notare che la probabilità di rinvenire tali forme è estremamente bassa (i processi di diversificazione evolutiva sono probabilmente più liberi e caotici, cladistici e non filetici, ed è altamente improbabile che si conformino felicemente alle nostre narrazioni macroevolutive) e che spesso l’investitura a “fossile transizionale” avviene più per la nostra inconscia tendenza a categorizzare in base a pochi caratteri (ritenuti “chiave” perché facilmente ordinabili lungo una serie lineare) che per un’effettiva “transizionalità generale” degli organismi scoperti.

06 agosto 2008

I celurosauri ed il Giurassico Medio

Nota: l’enigmatico therizinosauroide del Giurassico Inferiore, Eshanosaurus, basato su una mandibola è, a mio avviso, un sauropodomorfo basale. Pertanto, non è stato considerato in questo post.

Come ho evidenziato nel post sulla Lacuna JIM (il passaggio Giurassico Inferiore-Medio), è presumibile che nel Giurassico Medio deve essersi verificata l’estinzione della prima fauna a neoteropodi (dominata dalle forme basali di “grado coelophysoide”) e/o la differenziazione delle principali linee di averostri (neoceratosauri e tetanuri). Quanto e come fu intensa la differenziazione dei celurosauri in quel piano geologico? Se dovessimo basarci esclusivamente sul record fossile noto, saremmo tentati di affermare che il momento di maggiore differenziazione dei celurosauri fu il Cretacico, e che la componente celurosauriana fosse scarsa nel Giurassico Medio; tuttavia, come ben sappiamo, il record fossile non è una fedele trascrizione delle dinamiche evolutive, le quali devono essere dedotte anche sulla base delle relazioni filogenetiche ricavate con metodi a-temporali quali le analisi morfologiche (i cladogrammi). Il quadro che risulta da questa calibrazione filogenetica è molto interessante, in quanto prevede che il Giurassico Medio sia stato un piano geologico di intensa radiazione dei celurosauri. Vediamo come sia deducibile tutto ciò.
I generi di teropodi attribuibili con sicurezza a Coelurosauria e noti attualmente nel Giurassico Medio sono solo tre: Iliosuchus, Guanlong e Proceratosaurus. (Gasosaurus, interpretato da Holtz (2000) come un celurosauro basale, è anatomicamente molto più basale: se tale condizione non è viziata da un eventuale immaturità dell’esemplare noto, è più probabile che Gasosaurus sia un tetanuro molto primitivo). Esiste un consenso diffuso che i primi due generi citati prima siano dei Tyrannosauroidea basali. Il terzo è stato incluso solamente nelle analisi di Holtz (2000) e Rauhut (2003), nelle quali risulta in entrambi i casi un celurosauro basale, esterno al nodo comprendente il grado “compsognathide”, i maniraptoriformi e i tyrannosauroidi. Tuttavia, il risultato di Megamatrice è differente, e colloca stabilmente Proceratosaurus tra i tyrannosauroidi più basali. Pertanto, in base a questa ipotesi, i tre celurosauri medio-giurassici noti sono tutti tyrannosauroidei. Ciò implica che in quella fase del Giurassico solamente i tyrannosauroidi si erano differenziati? La risposta dipende dalla posizione dei tyrannosauroidi rispetto agli altri celurosauri. Attualmente, non esiste un consenso unanime sulla topologia basale di Coelurosauria. Usando una filogenesi “di compromesso” tra quelle proposte (in figura), proviamo a stimare il numero minimo di celurosauri presenti nel Giurassico Medio. Come pare probabile, almeno Tugulusaurus è più basale dei tyrannosauroidi, pertanto la sua linea doveva essere distinta già nel Giurassico Medio. Ed il “grado compsognathide”? Probabilmente, alcune linee che conducono a forme note dopo il Giurassico Medio dovevano essere già distinte a quel tempo. Tra queste, almeno la linea che conduce a Maniraptoriformes doveva essere presente. Quanto era differenziata questa linea? Dato che almeno un Paraves è noto nel Giurassico Superiore (Archaeopteryx), dobbiamo implicare che tra il Giurassico Medio e l’età di Archaeopteryx dovettero differenziarsi le seguenti linee (per determinarle mi baso sull’analisi di Senter, 2007, che in questo aspetto concorda con Megamatrice): Ornithomimosauria, Therizinosauria, Alvarezsauria e Oviraptorosauria. Quante di queste si differenzino già nel Giurassico Medio lo scopriremo solamente con nuovi fossili*.
In conclusione, è mia opionione che almeno una dozzina di linee di celurosauri esistessero nel Giurassico Medio: tra questi, i tre generi citati sopra, almeno altri quattro tyrannosauroidi, la linea di Tugulusaurus, ed almeno una linea che porta ai maniraptoriformi. E questa stima è ovviamente per difetto!

*Un secondo Paraves, WDC DML 001, del Giurassico Superiore Nordamericano, è in fase di descrizione, mentre un possibile terzo (purtroppo in questo momento non ricordo la citazione) parrebbe addirittura essere coevo di Guanlong: in quest’ultimo caso il numero di linee di celurosauri medio-giurassici salirebbe significativamente.

Bibliografia:
Holtz, 2000. A new phylogeny of the carnivorous dinosaurs. Gaia 15: 5–61.
Rauhut, 2003. The interrelationships and evolution of basal theropod dinosaurs. Special Papers in Paleontology 69: 1–215.
Senter, 2007. A new look at the phylogeny of Coelurosauria. Journal of Systematic Palaeontology.

04 agosto 2008

Un misterioso arcosauro polacco... un nuovo tetanuro basale?

Nella ristrettissima possibilità di tempo che mi impongono gli impegni augustani, non mi dimentico dei miei lettori!

Su segnalazione di uno dei miei più assidui blog-lettori scopro questo parziale cranio di arcosauro dal Retico-Sinemuriano (Triassico Superiore-Giurassico Inferiore) della Polonia.
Dato che la diagnosi che sto per effettuare si basa solo su questa foto, va presa con estrema cautela: non è detto che ciò che si vede qui sia effettivamente tale.
Le ossa indicate da lettere sono interpretabili con fiducia, le due in alto a destra meno (a me paiono un probabile neurocranio e parte del tetto cranico, ma forse più per la disposizione nella foto che per la presenza di chiari indizi a proposito).
Il premascellare è relativamente primitivo per un teropode: il corpo subnariale è relativamente basso, la narice occupa buona parte della metà rostrale dell’osso, l’angolo tra i margini ventrale e rostrale è maggiore di 75°, il ramo mascellare è ampio e allungato cranialmente.
Il mascellare è molto robusto ventralmente, e probabilmente mancante per buona parte del ramo ventrale. I margini della fossa antorbitale non sono distinguibili, quindi non posso essere sicuro se l’incisione dorso-caudale sia una finestra mascellare o l’intera fossa antorbitale (in tal caso piuttosto ridotta rispetto al corpo ventrale del mascellare). Il ramo rostrale non si differenzia dal ramo ascendente (il margine dorsale del mascellare è convesso).
L’ectopterigoide (?... non mi pare uno jugale, sopratutto se lo si paragona con il mascellare; e l’ipotetico ramo postorbitale è troppo gracile ed arcuato per sembrare plausibile) ha una forma “teropode”. Non si distinguono fosse o recessi.
Il quadrato ha il ramo pterigoideo proiettato nella metà dorsale. Dall’immagine, parrebbe che l’intero osso sia inclinato caudoventralmente.
Il dentale si espande dorsalmente a livello del terzo alveolo.
Lo spleniale ha una chiara concavità caudale. Non sembra esserci un forame rostroventrale.
In conclusione, ammesso che le ossa siano state identificate correttamente ed appartengano ad un unico individuo, le uniche possibili prove che sia un teropode sono la forma dell’ectopterigoide (se accettiamo che sia tale), la presenza di una concavità caudale dello spleniale e la riduzione della regione retroarticolare (due apomorfie della base di Tetanurae). Il resto delle ossa, prese isolatamente, potrebbe anche essere attribuito ad un crurotarso. Spero che questo arcosauro sia pubblicato presto, così che questo breve post possa risultare subito obsoleto!!!.
Chiunque abbia informazioni utili lasci commenti!