(Rough) Translator

30 aprile 2008

Cos'è un teropode?

Dato che questo blog è dedicato esplicitamente ai teropodi, questo post è più che necessario. Rispondere alla domanda su cosa sia un teropode presuppone risalire all’origine del nome, perché, ed è bene ricordarlo sempre, la Scienza è prima di tutto un modo di parlare della/sulla realtà, un linguaggio sugli oggetti, e non gli oggetti stessi.

I teropodi sono i membri del clade Theropoda. Direte: “grazie per l’ovvietà...”.

Il nome Theropoda fu istituito da Marsh nel 1881 per comprendere tre generi fossili riuniti allora nella famiglia Allosauridae: Allosaurus, Labrosaurus e Creosaurus. Siccome il secondo ed il terzo sono risultati essere dei sinonimi del primo, e quindi sono superflui, resta solo Allosaurus come “tipo” del “teropode”. Pertanto, un teropode è qualcosa che “assomiglia” ad Allosaurus.

Prima di dire cosa significhi “assomigliare ad Allosaurus”, faccio una piccola digressione. In base a questa definizione fedelmente ancorata all’origine storica del nome, Allosaurus è il teropode per eccellenza (e non Tyrannosaurus, come scrisse una volta Gregory Paul).

Successivamente (tra il 1882 ed il 1896), Marsh ha allargato l’ambito di inclusività di Theropoda, comprendendo al suo interno, oltre ad Allosauridae, le famiglie Megalosauridae, Dryptosauridae, Labrosauridae (che separò da Allosauridae, anche se ora non la riteniamo più valida), Plateosauridae, Anchisauridae, Coeluridae, Compsognathidae, Ceratosauridae, Ornithomimidae, e Hallopidae. Di questi taxa, Plateosauridae ed Anchisauridae (indipendentemente dal loro status monofiletico) non sono più considerati teropodi, così come Hallopidae (o meglio, il genere Hallopus) che è risultato sulla linea dei coccodrilli. Sebbene fosse stato abbandonato durante la prima metà del XX secolo, il termine Theropoda ritornò ad essere considerato valido attorno agli anni ’60 grazie a Romer e Colbert. Entrambi concordavano sulla distinzione dei teropodi in due gruppi (ai quali Romer aggiungeva anche un terzo, Prosauropoda, oggi ritenuto un clade/grado di Sauropodomorpha, e quindi, come vedremo in fondo, esterno a Theropoda per definizione): Carnosauria (grandi e massicci) e Coelurosauria (piccoli e slanciati). La scoperta di forme apparentemente “ibride” tra carnosauri e celurosauri (Deinonychus e Dilophosaurus) mostrò l’ambiguità della dicotomia “Carnosauri-Celurosauri”, e impose la necessità di una revisione di Theropoda. Barsbold, a metà degli anni ’70, fu tra i primi a proporre una riclassificazione dei teropodi, ancora su criteri pre-cladistici, in 6 gruppi: Coelurosauria, Deinonychosauria, Oviraptorosauria, Carnosauria, Ornithomimosauria, e Deinocheirosauria.

La definizione attuale dei teropodi si deve al lavoro paradigmatico di Gauthier, del 1986, volto a dimostare cladisticamente che gli uccelli sono dinosauri. Egli definì Theropoda come il clade di dinosauri saurischi comprendente gli uccelli e tutte le forme più strettamente imparentate con gli uccelli rispetto ai sauropodi. Questa definizione (che riconosce tutte le forme citate sopra come teropodi) è irreprensibile nella pratica filogenetica, ma ha un difetto “secondario”. Usando gli uccelli come “ancoraggio” della definizione, si “snatura” l’originale contesto storico nel quale nacque il termine “Theropoda”. Ovvero, nessuno (scientificamente intelligente) ormai dubita che gli uccelli siano teropodi, tuttavia, questa consapevolezza è il risultato di un intenso lavoro di ricerca evoluzionistica durato mezzo secolo, e non dovrebbe essere semplicemente l’effetto automatico di una definizione arbitraria che fissa agli uccelli lo status di “teropodi-tipo”. Se c’è un taxon che è sempre stato riconosciuto come teropode fin dall’origine del nome, questo è Allosaurus, pertanto è molto più corretto definire il clade ancorandolo al suo primo rappresentante riconosciuto dalla Scienza.

Pertanto, in conclusione, un teropode è qualsiasi animale che è più strettamente imparentato ad Allosaurus rispetto ai sauropodi. In base a questa definizione, gli uccelli sono teropodi, esattamente come lo sono i tyrannosauri, i deinonicosauri, gli oviraptoridi, i compsognatidi, i ceratosauri, i terizinosauri, ecc...

Definizioni filogenetiche rigorose:

Theropoda Marsh, 1881: Il clade più inclusivo comprendente Allosaurus fragilis Marsh, 1877, ma non Saltasaurus loricatus (Bonaparte & Powell 1980).

Sauropodomorpha Huene, 1932: Il clade più inclusivo comprendente Saltasaurus loricatus (Bonaparte & Powell 1980), ma non Allosaurus fragilis Marsh, 1877.

Nota finale: temo che qualcuno sarà rimasto deluso da questo post, perché probabilmente si attendeva non una digressione sulla storia della tassonomia, bensì una diagnosi del clade, ovvero una lista di caratteristiche che “definiscono” un teropode e lo distinguono da altri dinosauri. Ciò poteva essere fatto, ma sarebbe stato in parte scorretto. Infatti, dato che Theropoda è un clade definito con un criterio “stem-based”

(http://theropoda.blogspot.com/2008/03/disguidi-di-nomenclatura-il-caso-aves.html),

non può essere diagnosticato sulla base di caratteristiche anatomiche. Ciò può sembrare paradossale, ma è il risultato della definizione: una lista di caratteri diagnostici si può attribuire (provvisoriamente) ad un clade definito con un criterio “node-based”, ma non può essere attribuita ad uno “stem-based”, dato che quest’ultimo non è un punto di un albero evolutivo (che quindi, approssimativamente, è un evento localizzabile), bensì è una linea che si allontana da un’altra. Se, per assurdo, volessimo cercare le caratteristiche diagnostiche di tutto Theropoda, dovremmo risalire indietro fino alla sua origine, ovvero alla base della sua linea evolutiva, la quale, per definizione, è data dal momento in cui si separò dalla linea chiamata Sauropodomorpha. Ora, il momento in cui due linee evolutive si separano è un evento di speciazione, ovvero, la separazione di due popolazioni che precedentemente appartenevano alla stessa specie. Tali popolazioni, nell’atto della separazione, sono quasi sempre indistinguibili a parte una differenza riproduttiva (genetica o etologica, raramente morfologica) che le rende non più incrociabili tra loro. Pertanto, in origine, le due linee che diventeranno Theropoda e Sauropodomorpha erano solo due popolazioni quasi-gemelle di una stessa specie di saurischio primitivo (il più recente antenato comune di sauropodomorfi e teropodi), assolutamente indistinguibili reciprocamente e prive di tutte le modifiche anatomiche che insorgeranno col tempo in seguito alla reciproca divergenza. In conclusione, quindi, Theropoda (l’intero clade, così definito) non è diagnosticabile sulla base di apomorfie. Quando leggete una diagnosi di Theropoda, generalmente state leggendo la diagnosi (provvisoria, basata sull’ottimizzazione più aggiornata delle apomorfie) di un suo nodo (= clade “node-based”) basale interno già chiaramente distintosi da Sauropodomorpha (di solito il nodo “Eoraptor + gli altri teropodi”, oppure Neotheropoda, cioè “Coelophysoidea + Neoceratosauria + Tetanurae”), non certo della diagnosi reale dell’intero clade, che non è possibile fare (né ora, né mai) dato che questo clade è uno “stem-based”.

L’enigmatica coda IVPP V11309 (Lu & Hou, 2005)

IVPP V11309 (da Lu & Hou, 2005). Nel rettangolo rosso, il pigostilo.

IVPP V11309 è una serie articolata di 12 vertebre caudali distali della lunghezza complessiva di circa 12 cm (Lu & Hou, 2005). La serie è completa e termina in un pigostilo composto da 5 vertebre fuse. La regione prossimale della coda è mancante, quindi non possiamo sapere con precisione il numero totale delle vertebre e la lunghezza complessiva. Comunque, sulla base della morfologia delle caudali più prossimali preservate, simili alle caudali prossimali di molti teropodi, è improbabile che il numero complessivo delle caudali superasse 30.

Le caudali più prossimali sono anficeliche, mentre nelle più distali la faccetta distale del centro si fa convessa. I centri sono corti, non superando mai in lunghezza i 4/3 dell’altezza della faccetta prossimale. Le caudali distali si riducono in altezza ma non aumentano in lunghezza rispetto alle vertebre più prossimali. Non sono presenti pleurocoeli, ma una serie di forami è presente sulle superfici laterali. Il pigostilo è corto (lungo meno della somma delle lunghezze delle quattro vertebre libere più distali) e sembra non coinvolgere gli archi neurali nel processo di coossificazione. Le zigapofisi intermedie sono corte ma raggiungono nondimeno le faccette articolari dei centri. Le prezigapofisi distali si allungano su oltre 1/2 del centro precedente, mentre le postzigapofisi sono indistinguibili. Le spine neurali sono assenti. Gli archi emali sono corti, chiusi dorsalmente nelle caudali più prossimali e privi degli allungamenti estremi tipici dei paraviali.

Lu & Hou (2005) confrontano IVPP V11309 con i tre taxa di teropodi aventi pigostilo (Beipiaosaurus, Nomingia ed il nodo “Sapeornis + Neornithes”) e concludono che probabilmente esso appartiene ad un aviale basale prossimo al nodo “Sapeornis + Neornithes”. In particolare, essi citano la relativa riduzione in lunghezza delle vertebre e la presenza di forami sulle superfici laterali delle caudali come prova di un’affinità con gli uccelli.

Immesso in Megamatrice (per la quale è codificabile per 20 caratteri, il 2,15% del totale) IVPP V11309 risulta un celurosauro più derivato di Tugulusaurus, Nedcolbertia e Juravenator, in politomia con il nodo “Apsaravis + Neornithes”, Santanaraptor, Alvarezsauria, Epidendrosaurus, Deinonychosauria, Tyrannosauroidea, Oviraptorosauria, Enantiornithes, Compsognathidae, Ornithomimosauria, ed i generi dispersi degli aviali basali e dei therizinosauri. Il fatto che Therizinosauria e la base di Avialae siano collassate sembra indicare che la posizione di IVPP V11309 oscilli principalmente tra la base degli aviali pigostili e una possibile affinità con Beipiaosaurus. Futuri ritrovamenti potranno risolvere questa politomia e stabilire se questa coda appartiene ad un aviale, ad un therizinosauro o (perché no?) ad una nuova linea evolutiva di celurosauri con pigostilo.

Bibliografia:

Lu J., & Hou L., 2005. A possile long-tailed bird with a pygostyle from the Late Mesozoic Yixian Formation, Western Liaoning, China. Acta Geologica Sinica, v. 79, n. 1, p. 7-10

28 aprile 2008

Ed ora potremmo anche BANDirli!

L'ultima speranza per i sostenitori della obsoleta teoria BAND (Birds Are Not Dinosaurs) è stata dissolta. Studi filogenetici effettuati su una sequenza aminoacidica rinvenuta all'interno di ossa di Tyrannosaurus mostrano che esso (e, implicitamente tutti gli altri teropodi non-aviali) fa parte del ramo evolutivo degli uccelli (ovvero, che gli uccelli sono più strettamente imparentati coi teropodi mesozoici che con gli altri rettili). Noi lo sapevamo bene, perchè la gigantesca mole di evidenze dalla morfologia scheletrica, dalle tracce tegumentarie, dalle inferenze sulla pneumatizzazione, dalla microstruttura dei gusci delle uova, insomma, I DATI, dicevano questo già da tempo.
Ad accentuare la validità dello studio, un altro fossile incluso nell'analisi filogenetica molecolare, Mastodon, è risultato nella posizione che (ovviamente) la morfologia ci suggerisce, cioè con i proboscidati.
Andate in pensione, BANDiti dalla Scienza!

Bibliografia:

Organ L. C., Schweitzer M. H., Zheng W., Freimark L. M., Cantley L. C., & Asara J. M., 2008 - Molecular Phylogenetics of Mastodon and Tyrannosaurus. Science, 320:499.

Un’interpretazione eterodossa di Carnotaurinae

La metodologia scientifica si discosta dalla metafisica e dal mito perché non pretende di spiegare il tutto con poche (presunte) verità. La Scienza è settoriale: ciascuna disciplina si fissa su un ambito, e ambisce (play of words) ad essere esauriente all’interno dei limiti che si è imposta, senza pretendere di poter essere esaustiva, e sopratutto, di invadere con prepotenza altri campi*. Ad esempio, io mi interesso sopratutto di analisi filogenetiche di vertebrati fossili. Così facendo, lo ammetto e ne sono conscio continuamente, sacrifico tutte le informazioni non filogenetiche, accantonandole perché non necessarie al mio studio. Questa scelta è dettata dal buon senso: il numero delle caratteristiche ricavabili da un organismo è enorme (se si sa guardare bene), e non si può perdere tempo nello scandagliare un fossile da tutti punti di vista scientificamente plausibili (curiosamente, molti non addetti ai lavori fanno invece l’esatto contrario, cercando in un fossile proprio ciò che non può dare... ma non vado oltre con la polemica). Abbiamo poco tempo e molti dati da analizzare.

Il mio punto di vista apparirà sicuramente sterile per chi si sforza di dare al nostro caro fossile una parvenza di organismo reale, vivo e funzionante. Tuttavia, credo che sia molto più saggio e cauto partire dalla morfologia e dall’anatomia, prima di tutto per ricostruire la filogenesi (e quindi l’evoluzione), e solo dopo passare all’analisi funzionale. Uno dei principali fattori di disturbo nello studio filogenetico è proprio la convergenza funzionale, l’acquisizione indipendente di caratteristiche analoghe da parte di linee distinte. La non-omologia di caratteri derivati, bestia nera delle filogenesi, è invece di aiuto fondamentale nella ricostruzione delle funzionalità e di animali estinti, sopratutto se privi di forme viventi strettamente imparentate. Solo confrontando i nostri fossili con animali (sia fossili che viventi) aventi adattamenti noti si può sperare di ricostruirne la biologia funzionale.

Detto questo, in questo post uscirò dal mio seminato e proverò a sostenere una tesi paleoecologica e funzionale molto insolita e (a quanto ne so) mai proposta in precedenza, avente come oggetto uno dei più aberranti cladi di Theropoda: gli Abelisauridae (in generale) Carnotaurinae (in particolare).

Se mi seguirete fino in fondo, avrete modo di applaudire alla mia ricostruzione, o ricoprirmi di insulti... ovviamente, dovrete motivare le vostre impressioni.

In passato avevo proposto un’altra interpretazione dell’anatomia abelisauride, abbastanza convenzionale. Questa volta sarò molto più radicale.

Partiamo dai dati. I generi che userò per sostenere la mia tesi sono principalmente tre, Carnotaurus, Aucasaurus, e Majungasaurus, gli abelisauridi attualmente meglio conservati. Alcune delle caratteristiche che considererò sono note in altre forme più frammentarie (Ilokelesia, Ekrixinatosaurus, Pycnonemosaurus, Rajasaurus), anche se non sappiamo se queste ultime le avessero tutte e nelle condizioni derivate dei tre generi di sopra.

I Carnotaurinae sono contraddistinti da:

1: Cranio relativamente corto ed alto, con processi nucali ipertrofici e ossa dermiche ispessite e rugose (Bonaparte et al., 1990). Procinesi cranica ed articolazione intramandibolare molto mobile, associate con intensa coossificazione delle regioni nasale, fronto-parietale e neurocranica (Mazzetta et al., 2000).

2: Processi muscolari epiassiali (cioè delle regione dorsale del corpo) molto pronunciati, segno di una muscolatura del collo e del dorso molto sviluppata (Bonaparte et al., 1990).

3: Processi trasversi della regione prossimale ed intermedia della coda molto lunghi ed espansi distalmente, simili ai processi sacrali e segno di ipertrofia nei muscoli protrattori della gamba. La coda è relativamente ampia e muscolosa per un teropode (Bonaparte et al., 1990; Coria et al., 2002).

4: Coda relativamente corta per un teropode basale, avente ridotta mobilità nella regione prossimale a causa di articolazioni supplementari tra gli archi neurali (Coria et al., 2002). Di fatto, la regione prossimale della coda sembra un’estensione della colonna sacrale. In alcuni taxa, ciò pare accentuato dall’estrema inclinazione dorsale dei processi trasversi prossimali delle caudali, che sembrano estendere caudalmente le aree di inserzione muscolare delle lame iliache.

5: Arti anteriori estremamente ridotti, scarsamente innervati, con avambraccio atrofico e dita vestigiali. Le testa dell’omero invece conserva l’ampia mobilità simplesiomorfica dei ceratosauri (Bonaparte et al., 1990; Coria et al., 2002; Senter & Parrish, 2006).

6: Cresta cnemiale ipertrofica della tibia, spesso a forma di accetta. Ciò implica un’ipertrofia nella muscolatura estensoria del ginocchio (Coria et al., 2002; Carrano, 2007).

7: Espansione plantare del tarso (ipotarso), segno di una marcata inserzione dei flessori del piede (Coria et al., 2002).

Come interpretare questa curiosa combinazione di caratteri?

I caratteri 1 sembrano indicare un adattamento a scontri diretti della testa (in ambiti sia intra- che interspecifici), morso rapido e capacità di ingerire oggetti relativamente voluminosi. La capacità del cranio di assorbire impatti intensi potrebbe essere derivata come carattere sessuale secondario (sopratutto nelle forme con corna e ornamentazioni craniche) ma anche come adattamento che compensi l’atrofia dell’arto anteriore (carattere 5).

Il carattere 2 potrebbe essere legato al fatto che la testa svolgesse molte delle funzioni predatorie perse dall’arto anteriore (carattere 5).

I caratteri 3, 4, 6 e 7 sono correlati e sembrano indicare uno sviluppo notevole della muscolatura della gamba. Tuttavia, ed è curioso il confronto, l’arto posteriore non è particolarmente allungato per essere di teropode cursorio. La tibia, in particolare, è corta e robusta.

Nel complesso, i carnotaurini hanno sviluppato la muscolatura del collo e del dorso a sostegno e mobilità di un cranio corto e robusto, atrofizzato gli arti anteriori, ed espanso significativamente la muscolatura della gamba, sebbene non siano particolarmente adattati alla corsa (sopratutto in confronto coi celurosauri e i loro parenti noasauridi, nei quali il piede è chiaramente da cursore).

Perché espandere la muscolatura del collo se la testa si riduce in lunghezza (e quindi non è una leva particolarmente gravosa rispetto ad altri teropodi dai musi più allungati)? Perché avere una muscolatura potenziata per l’arto posteriore se non si è particolarmente adattati alla corsa?

Forse la muscolatura potrebbe essersi potenziata perché era cambiato il mezzo fisico nel quale dover muovere lo scheletro. Se non avete già intuito dove voglio condurvi col ragionamento, faccio notare che esiste un altro clade di teropodi che ha questa strana combinazione di caratteri (procinesi cranica, arto anteriore ridotto o vestigiale che però conserva ampia mobilità dell’omero, ileo allungato, tibia con cresta cnemiale ipertrofica per ampia inserzione degli estensori del ginocchio, e ipotarso per i flessori delle dita): gli Ornithurae acquatici, in particolare Hesperornithes e Sphenisciformes. Gli esperorniti ed i pinguini sono probabilmente i cladi di Dinosauria in assoluto più adattati alla vita in acqua.

I carnotaurini sarebbero acquatici? Meglio dire “anfibi” (nel senso ecologico di adatti a vivere sia in ambiente acquatico che subaereo, non nel senso filogenetico di tetrapodi non-amnioti imparentati con rane e tritoni).

Troppo ardita come tesi?

Perché non potrebbe essere così? Lo sviluppo della muscolatura del collo sarebbe un adattamento volto a mantenere una forza elevata per muovere la testa in un mezzo (l’acqua) più denso dell’aria. Il morso rapido dedotto dagli studi biomeccanici (Mazzetta et al., 2000), contrapposto ad uno lento ma più potente, è tipico dei predatori acquatici. L’ipertrofia delle inserzioni muscolari dell’arto posteriore è molto simile a quella osservata negli Hesperornithes ed in altri uccelli acquatici caratterizzati da un nuoto basato su potenti spinte propulsive delle gambe. Ovviamente, nei carnotaurini non si raggiunge la specializzazione estrema presente negli esperorniti, appunto perché dobbiamo vederli come macchine “ibride” adattate sia all’acqua che alla terraferma, tuttavia, vedendoli come grandi teropodi semi-acquatici riusciamo (forse) a giustificare le apparenti incongruenze della loro anatomia.

Quali potevano essere le prede per le quali evolvere una tale anatomia? I Crocodyliformes Mesoeucrocodylia ebbero un’ampia radiazione adattativa nel Cretacico del Gondwana, con forme sia anfibie che prettamente terricole, alcune persino convergenti con gli ornitischi: esse si ritrovano abbondantemente nelle stesse formazioni del Gondwana che hanno restituito gli abelisauridi (ad esempio nella Mahajanga del Madagascar e nella Bauru del Brasile). La combinazione di caratteri dei carnotaurini (cranio cinetico corto ma fortemente ossificato e mosso da potenti muscoli assiali, arti anteriori ridotti e quindi poco esposti nello scontro frontale, arti posteriori adatti al mezzo acquatico) potrebbe essere un adattamento a prede anch’esse anfibie, corazzate e bellicose, cioè i coccodrilli.

Ricostruzione di Majungasaurus con indicati i caratteri discussi. L’animale è ricostruito mentre guada uno specchio d’acqua profondo un paio di metri. In basso due dei sette crocodyliformi noti provenienti dalla stessa formazione di Majungasaurus: il predatore Mahajangasuchus ed il piccolo erbivoro Simosuchus. Modificato da Krause et al., 2006 - Late Cretaceous terrestrial vertebrates from Madagascar: implication for Latin American biogeography. Ann. Missouri Bot. Gard, 93: 178-208.

Convinti? Probabilmente, no. Oggi non esistono animali simili ai carnotaurini, così come non esistono predatori naturali dei coccodrilli adulti, quindi lo scenario che propongo è puramente speculativo. Futuri ritrovamenti (ad esempio un abelisauro fossilizzato in sedimenti marini, ben articolato e quindi probabilmente non trasportato come cadavere) potrebbero avvalorare parte di questo scenario.

Bibliografia:

Bonaparte, J. F., F. E. Novas, & R. A. Coria. 1990. Carnotaurus sastrei Bonaparte, the horned, lightly built carnosaur from the Middle Cretaceous of Patagonia. Contributions in Science, 416: 1–42.

Carrano M. 2007. The Appendicular Skeleton of Majungasaurus crenatissimus (Theropoda: Abelisauridae) from the Late Cretaceous of Madagascar. Journal of Vertebrate Paleontology, 27, Supp. 2: 163 - 179.

Coria C. R., Chiappe L. M. & Dingus L., 2002. A new close relative of Carnotaurus sastrei Bonaparte 1985 (Theropoda: Abelisauridae) from the Late Cretaceous of Patagonia. Journal of Vertebrate Paleontology, 22: 460-465.

Mazzetta G. V., Farina R. A., & Vizcaino S. F., 2000. On the paleobiology of the South American Theropod Carnotaurus sastrei Bonaparte. Gaia, 15: 185 - 192.

Senter P., & Parrish J. M., 2006. Forelimb function in the theropod dinosaur Carnotaurus sastrei, and its behavioral implications. PaleoBios, 26: 7 - 17.

* In realtà, non è esattamente così, e spesso certe discipline “dure” (fisica e chimica) sparlano fuori del loro seminato per imporre la loro “verità” in altri ambiti. Ciò ha comunque una sua coerenza, dato che le scienze sono gerarchizzate (tutti gli oggetti biologici seguono le leggi della chimica e della fisica, tuttavia non sono spiegabili solo in base a concetti della chimica e fisica). In ogni caso, ciò non dovrebbe sfociare “nell’invidia” della (apparente) robustezza e coerenza della fisica.

22 aprile 2008

Pedopenna daohugouensis Xu & Zhang, 2005

Il paleoartista Luis Rey ha definito il Biota Jehol del Cretacico Inferiore del Nordest della Cina l’equivalente per gli uccelli di ciò che la Burgess Shale del Cambriano Medio è per gli animali celomati. In effetti, entrambe sono Lagerstätten, ovvero giacimenti a conservazione straordinaria, che hanno preservato parti molli assenti nella stragrande maggioranza delle formazioni fossilifere. Un secondo motivo che giustifica questa analogia è dato dalle età di queste formazioni. La Burgess risale a circa una trentina di milioni di anni dopo la Grande Esplosione della disparità anatomica dei pluricellulari e documenta il pieno della prima radiazione morfologica animale; il Biota Jehol documenta il pieno della radiazione adattativa dei paraviani, sia aviali che deinonychosauri, circa trenta milioni di anni dopo la loro reciproca divergenza. Sottostante (e quindi antecedente) al Biota Jehol abbiamo il complesso dei letti del Daohugou, una serie di strati la cui datazione è dibattuta tra la metà del Giurassico e l’inizio del Cretacico. I teropodi di questi letti sono ancora poco noti, ma preannunciano una spettacolare diversità di forme. Essendo precedenti al Biota Jehol, possono illuminarci sulle prime fasi dell’evoluzione paraviano. Difatti, i due teropodi estratti da questi letti sono delle bizzarre creature dall’aspetto di uccelli aberranti, pugni in un occhio per un ornitologo, qualcosa di analogo all’effetto che darebbero gli artropodomorfi basali Opabinia ed Anomalocaris allo stomaco di un amante delle aragoste.
Dei due, Epidendrosaurus è sicuramente il più famoso, bizzarro e completo, e sarà l’oggetto di un futuro post. L’altro, Pedopenna, è rappresentato solamente da una tibia distale e da un piede completo di piumaggio.
Pedopenna è diagnosticabile dalla estrema gracilità della prima falange del primo dito del piede (che è spesso meno di 1/7 della sua lunghezza)*. Inoltre, si distingue da troodontidi, dromaeosauridi e uccelli per l’assenza di autapomorfie tipiche di quei tre gruppi (complesso di specializzazioni del secondo dito del piede, retroversione dell’alluce e allungamento relativo delle dita rispetto ai metatarsali). Il metatarso è subarctometatarsale, come in molti deinonychosauri basali (Sinovenator, Mei, Microraptoria, Buitreraptor); i tre metatarsali principali (II-III-IV) sono subequali in lunghezza, come in Microraptor, Epidendrosaurus e certi enantiorniti; il primo dito del piede è gracile e raggiunge distalmente l’articolazione distale del secondo metatarsale, come in molti aviali e microraptori; le penultime falangi distali delle dita sono allungate, come in molti aviali, Epidendrosaurus e microraptori; il secondo unguale del piede è lievemente più robusto degli altri.
Tracce di tegumento indicano che i metatarsali erano punto di ancoraggio di lunghe penne metatarsali, come in Microraptor. A differenza di quest’ultimo, il vessillo delle penne metatarsali appare simmetrico.
Xu e Zhang immettono Pedopenna in una versione modificata della matrice del Theropod Working Group di New York, in base alla quale risulta in tricotomia con Deinonychosauria e Avialae.
Immesso in Megamatrice, Pedopenna è un deinonychosauro basale, sister-group del nodo “Troodontidae + Dromaeosauridae”. Caratteri a sostegno di questa ipotesi sono il subarctometatarso, il relativo accorciamento della prima falange del secondo dito rispetto al secondo metatarsale, e la presenza di penne metatarsali.
La morfologia del piede (allungamento delle falangi, posizione del primo dito) indicherebbe una qualche capacità arboricola. La presenza di penne metatarsali, anche se con vessillo simmetrico (quindi con ridotta aerodinamicità), simili a quanto osservato in Microraptor, suggeriscono che Pedopenna potesse sfruttare una superficie alare supplementare a quella presente (presumibilmente) nell’arto anteriore e nella coda. In effetti, è plausibile che Pedopenna, e altri paraviani basali, tra cui Epidendrosaurus, avessero uno stile di vita parzialmente arboricolo che comprendesse lo spostamento tra le fronde. In analogia con quanto osservato in altre linee di vertebrati arboricoli, è probabile che questa nicchia adattativa costituisca il prerequisito per l’evoluzione di forme elaborate di volo (almeno planato) come quelle che riteniamo presenti in Microraptoria e Pygostylia.
*Nota per un amico e collega: ricordiamoci di citare questa diagnosi come esempio pre-esistente per giustificare i nostri affari loschi con gli abelisauroidi malgasci...
Bibliografia:
Xu & Zhang, 2005. A new maniraptoran dinosaur from China with long feathers on the metatarsus. Naturwissenschaften, (versione on-line) del 01-02-2005: 1-10.

21 aprile 2008

Quante specie (paleontologiche) di teropodi (non-neorniti) sono esistite (nel mesozoico)?

Tasso di descrizione dei generi di Dinosauria non-neorniti e stima della loro abbondanza (da Wang & Dodson, 2006).

In passato sono state effettuate stime della diversità totale (numero di generi o specie) dei dinosauri (non-neorniti) che sono esistiti sulla Terra. Il metodo principale utilizzato si basa su estrapolazioni dell’attuale trend di scoperta di nuove forme (Wang & Dodson, 2006 e citazioni ivi presenti): in pratica, siccome i fossili di dinosauri sono come il petrolio (cioè non infiniti) si usa l’attuale tasso di scoperta per stimare una curva logistica da cui stabilire per quanto ancora se ne troveranno. La più recente stima (Wang & Dodson, 2006) prevede circa 1800 generi totali da scoprire (più di tre volte quelli noti), che dovrebbero essere scoperti principalmente entro un secolo e mezzo (quindi noialtri possiamo stare tranquilli che avremo da divertirci... mentre i nostri nipoti saranno senza petrolio e senza nuovi dinosauri... che schifo di mondo!).

Io ho deciso di fare altrettanto per le specie (e non i generi) di teropodi mesozoici (non-neorniti), ma usando un metodo differente. Non assicuro che sia valido, né che dia risultati credibili.

Innanzitutto, cos’è una specie paleontologica (attenzione: paleontologica, non biologica!)? Non è altro che una combinazione nuova ed unica di caratteristiche anatomiche. Pertanto, il numero di specie non è altro che il numero di combinazioni plausibili (evolutivamente) di caratteri. Ancora attenzione! Noi non disponiamo dell’intera anatomia dei dinosauri, ma quasi esclusivamente dello scheletro, pertanto, noi non potremmo mai distinguere due specie di dinosauri aventi identici scheletri ma qualche differenza cromosomica, etologica o dell’anatomia non-scheletrica (tenete bene a mente questa sacrosanta verità, ogni volta che litigherete sull’attribuzione o meno di due specie distinte ad un solo genere... chi ha orecchie per intendere intenda). Quindi, in definitiva, il numero delle specie di teropodi mesozoici è dato dal numero delle possibili combinazioni di caratteri scheletrici rilevabili, il quale sarà sempre minore del numero reale di specie vissute.

Qui entra in gioco la mia amata Megamatrice.

Megamatrice attualmente valuta la distribuzione di 924 caratteri osteologici e tegumentari (questi sono solo 8) in 268 linee evolutive (principalmente generi, ma siccome la stragrande maggioranza di questi generi comprende al suo interno una sola specie nota, si possono chiamare direttamente specie). Tutti i caratteri usati sono filogeneticamente informativi (ovvero sono utili all’analisi filogenetica) e producono un albero evolutivo che ha una lunghezza (numero di eventi evolutivi necessari per spiegare la distribuzione nota dei 924 caratteri) di circa 6300 passi evolutivi (steps). Se, come abbiamo detto sopra, una specie è una combinazione unica di caratteri evolutivi, una nuova specie coincide con un nuovo evento evolutivo. Perciò, se l’albero è formato da circa 6300 steps, implica che almeno 6300 eventi evolutivi devono essere avvenuti nell’evoluzione dei teropodi mesozoici, ovvero, che devono essere comparse almeno 6300 specie diverse (distribuite nei 165 milioni di anni del mesozoico).

Ovviamente, questo valore è la stima per difetto sulla base dell’attuale record fossile (e dei caratteri usati). Ma sarebbe possibile usare questo metodo per stimare il numero totale di specie teropodi? Penso di sì, ed ecco come ho fatto.

Immaginiamo una situazione ideale del futuro nella quale tutte le specie di teropodi sono state scoperte. Cosa significa ciò? Significa che se avessimo una Gigamatrice capace di contenerli tutti, essi potrebbero essere inseriti in un’analisi filogenetica e mappati su un albero. Ora, se avete seguito il discorso di sopra, ho detto che l’attuale Megamatrice avente 268 specie note implica 6300 specie totali sulla base del numero di steps che necessita per distribuire le forme note. Se invece avessimo tutte le specie di teropodi, allora il numero di steps dovrebbe coincidere con il numero delle specie usate, dato che non sarebbe possibile dedurre più steps (cioè nuove specie da scoprire) se disponiamo già di TUTTE le specie esistite. Spero abbiate capito cosa voglio dire: nell’ipotetica Gigamatrice con tutti i teropodi il numero di steps coincide col numero delle specie: difatti, ogni nodo avrebbe un solo carattere diagnostico, mentre nessuna delle specie avrebbe autapomorfie ricavabili dalla matrice (discorso un po’ tecnico, ma spero sia chiaro almeno per chi è ferrato in analisi filogenetiche). Quindi, nella situazione ideale in cui avessimo tutti i teropodi da mettere in matrice, il rapporto steps/specie sarebbe = 1. La mia attuale megamatrice ha un rapporto steps/specie di 6341/268 = 23.66; quindi è ancora ben lontana dalla condizione di saturazione del record fossile. Ma quanto ne è lontana? Ho fatto alcuni test: ho provato a simulare analisi aventi sempre 924 caratteri inseriti, ma riducendo il numero di specie usate (a caso, non mi interessava il risultato filogenetico): ad esempio, usando metà specie (134) i caratteri rimasti utili sono 845 sui 924 presenti (ciò accade perché se tolgo dall’analisi due specie A e B, quei caratteri utili solo per la posizione filetica di A e B diventano inutili), e si ottiene un albero di 4140 steps. Ciò significa che con 134 specie i caratteri utili sono diminuiti, così come il numero di steps (e quindi anche il numero di specie ipotetiche totali ricavabili dall’albero). Un secondo test aveva solo 100 specie e manteneva 803 caratteri utili, producendo un albero di 3353 steps. Con 20 specie abbiamo 390 caratteri utili e 1083 steps, ecc...

Si può notare subito che il rapporto steps/specie varia in funzione del numero di caratteri utili: come detto prima, con 924 caratteri il rapporto steps/specie è 23.66, con 845 caratteri (134 specie) è 30.89; con 803 caratteri (100 specie) è 33.53; con 390 caratteri (20 specie) è 54.15. Come vedete, diminuendo i caratteri utili, il rapporto steps/specie aumenta, ovvero, rovesciando l’ottica, all’aumentare dei caratteri utili il rapporto steps/specie diminuisce: questo avvalora la mia ipotesi che nella situazione ideale con noti tutti i teropodi il rapporto sarebbe sceso ad 1.

Se in un diagramma cartesiano si mettono i dati di steps/specie in funzione del numero dei caratteri utili si ottiene una curva discendente all’aumentare del numero dei caratteri: in particolare, quando si giunge a 1420 caratteri il rapporto steps/specie diventa = 1! Me ne restano circa 500 da aggiungere... Non sembrerebbe a prima vista così irraggiungibile, ma assicuro che codificare quasi 1000 caratteri in oltre 200 specie non è stato uno scherzo.

Ammettiamo che 1420 sia veramente il numero magico nel quale si raggiungerebbe il rapporto steps/specie uguale a 1. Quante saranno le specie in quella situazione (e quindi, ammettendo il discorso di prima, quante saranno le specie paleontologiche totali)? Ritornando ai dati di sopra, si vede che l’incremento degli steps segue una curva logaritmica con il numero dei caratteri. Ora, siccome nella situazione ideale finale il numero degli steps coinciderà con quello delle specie, quest’ultimo si può ricavare dalla curva logaritmica nel caso in cui il numero di caratteri coinciderà col fatidico 1420 determinato sopra. Così facendo, risulta che alla soglia dei 1420 caratteri, con un rapporto steps/specie = 1, avremo la bellezza di 29 mila 353 specie paleontologiche! Quasi trentamila specie di teropodi! E si tratta di una stima per difetto...

Vi sembra esagerato? Vi ricordo che quel numero dovete distribuirlo nei 165 milioni di anni che separano Eoraptor dal limite K-T: mediamente, avremmo circa 180 eventi di speciazione ogni milione di anni, stima che mi pare assolutamente plausibile.

Quindi, anche ammettendo che solo il 50% di quelle specie abbia qualche probabilità di produrre almeno un fossile (stima citata da Wang & Dodson, 2006), abbiamo ancora 14 000 specie paleontologiche di celofisoidi, neoceratosauri, torvosauridi, allosauroidi, spinosauri, compsognatidi, tyrannosauroidi, ornitomimosauri, therizinosauri, alvarezsauri, oviraptorosauri, deinonicosauri ed aviali da trovare, estrarre, analizzare, descrivere e ricostruire!

Se tutto andrà bene, a giugno avrò dato il mio primo piccolo contributo...

Ultima nota. In base a quanto detto sopra, l’ipotetica Gigamatrice avrebbe circa 30 000 specie e “solo” 1420 caratteri, cioè un rapporto caratteri/specie = 0.047. Ciò potrebbe sembrare poco probabile, dato che, in generale, le analisi filogenetiche hanno un rapporto caratteri/specie maggiore di 1 (la mia attuale Megamatrice ha un rapporto caratteri/specie di 3.44), tuttavia vanno fatte due precisazioni:

1: per discriminare due o più specie tra loro non conta il numero dei caratteri, bensì la combinazione dei caratteri presenti. Anche nell’ipotesi minima che tutti i 1420 caratteri usati siano solo binari (con 2 sole condizioni per ciascuno, “0” e “1”) avremmo ben 2 016 400 (il quadrato di 1420) possibili combinazioni di caratteri, un numero quasi 70 volte più grande di quello delle specie immesse.

2: anche se questa seconda affermazione non va presa in maniera radicale, nelle analisi filogenetiche le specie immesse sono più importanti dei caratteri. Ciò è ancora più chiaro nei casi, come quello della Megamatrice, nel quale l’intera anatomia scheletrica è stata scandagliata nel dettaglio. La mia esperienza mi mostra che spesso per risolvere la filogenesi di un clade è più utile inserire una specie, anche se molto frammentaria, piuttosto che arrovellarsi per cercare qualche nuovo carattere anatomico da aggiungere.

Bibliografia: Wang & Dodson, 2006. Estimating the diversity of dinosaurs. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States, 103: 13601 - 13605.

Lacuna JIM

La documentazione fossile dei teropodi mesozoici non è continua, né distribuita spazio-temporalmente in maniera uniforme. Abbiamo molte informazioni per il Campaniano-Maastrichtiano, e per il Kimmeridgiano-Titoniano, stiamo aumentando enormemente quelle del Barremiano-Aptiano, così come ci sono nuove scoperte del Cenomaniano-Turoniano. Mappando la distribuzione temporale dei taxa in funzione della taglia, appare delineato uno scenario di espansione: a partire da forme del Triassico Medio di taglia paragonabile a Coelophysis, la variabilità dei teropodi si espande rapidamente, occupando entrambe le morfo-zone libere, sia riducendo la taglia che aumentandola. Alla fine del Giurassico la principale fase di espansione morfologica era conclusa: ad un estremo i paraviali basali, della taglia di Archaeopteryx, dall’altro i grandi tetanuri basali. Nel Cretacico si espanderà ulteriormente il range massimo con almeno tre linee di gigateropodi, mentre bisognerà attendere il Cenozoico per avere i microteropodi (colibrì). Probabilmente, l’unico ostacolo all’espansione morfologica dei teropodi è stata la biofisica stessa: difficilmente potremmo avere teropodi più piccoli di un colibrì (già di per sé al limite minimo ammissibile per un vertebrato terrestre), né è plausibile che si scoprano teropodi significativamente più grandi di Spinosaurus, Tyrannosaurus e Giganotosaurus: il bipedismo ha dei vincoli strutturali insormontabili, e probabilmente i 12-14 metri (6-8 tonnellate) raggiunti da questi taxa indipendentemente uno dall’altro sono il limite superiore fisicamente sostenibile ed evolutivamente vantaggioso per i teropodi (a volte sento di ipotetiche stime di Spinosaurus sulle 10-20 tonnellate che richiederebbero un ritorno al quadrupedismo... beh, a parte il fatto che non si conoscono ancora arti di Spinosaurus, e quindi il discorso è pura speculazione... ho dei grossi dubbi su quelle stesse stime di massa per Spinosaurus, come ho già spiegato in altri post).

Un aspetto interessante è che la tendenza ad occupare tutte le morfo-zone è tipica di tutti i teropodi: più linee distinte hanno sviluppato indipendentemente taglie simili (sia nei giganti che nelle forme più piccole, sebbene di queste ultime il record fossile sia più scarso), e spesso in contemporanea (il caso del Cenomaniano del Nordafrica è il più evidente: nella stessa zona abbiamo contemporaneamente un allosauroide, Carcharodonthosaurus, un abelisauroide, Deltadromeus, ed uno spinosauroide, Spinosaurus, tutti di taglia grande se non gigante). Come detto all’inizio, la documentazione non è uniforme: abbiamo piani geologici molto più documentati di altri, oppure formazioni che hanno restituito più rappresentanti di certe taglie rispetto ad altre. L’applicazione attualistica dell’ecologia ci induce a ritenere che le piramidi di taglia fossero presenti anche nel Mesozoico: ovvero, il numero delle specie di piccola taglia era probabilmente molto più grande di quello delle specie di grande taglia. Purtroppo, la paleontologia è schiava della fossilizzazione, la quale varia la propria selettività a seconda delle condizioni in cui avviene. Spesso, esemplari di piccola taglia hanno minori probabilità di fossilizzare, oppure tendono ad essere sottostimati. Il caso della Formazione Morrison è esemplare: Allosaurus è molto abbondante, mentre i celurosauri, pur avendo una buona diversità (Coelurus, Tanycolagreus, Ornitholestes, un nuovo troodonte in studio, ecc...), sono pochi e frammentari. Nel Biota Jehol, invece, abbondano i teropodi di piccola taglia (paraviali in primis), mentre i medio-grandi sembrano essere assenti.

Di tutte le lacune paleontologiche dei teropodi, la più ampia è il passaggio tra il Giurassico Inferiore (il Lias) ed il Medio (il Dogger), che chiameremo “lacuna JIM”. Praticamente, non esistono formazioni significativamente ricche in teropodi risalenti a quella epoca. Ciò potrebbe indurre a pensare che sia segno di una qualche crisi biologica. Difatti, fino alla metà del Giurassico Inferiore i teropodi noti sono principalmente membri di Coelophysidae e “dilophosauridi”, mentre dopo la lacuna JIM essi scompaiono, ed iniziano le faune dominate dagli averostri (tetanuri e neoceratosauri).

Parentesi: In effetti, si potrebbe suddividere la storia di Theropoda in tre fasi sulla base della disparità anatomica: il Coelophysidico (Trias sup. e Lias) dominato dalle forme basali, l’Averostriano (Dogger, Malm e Cretacico) avente la massima disparità, ed il Neornitico (Cenozoico) con solo i neorniti.

Quanto è reale la lacuna JIM? Effettivamente, è plausibile che i teropodi basali si estinguano e che le loro nicchie vengano occupate dagli averostri, ma ciò non implica necessariamente che la povertà delle formazioni note sia reale. In particolare, la presenza di Berberosaurus nel Giurassico Inferiore implica (filogeneticamente) che le linee evolutive di Elaphrosaurus, Abelisauroidea e Ceratosauridae dovevano già esistere prima della lacuna JIM, anche se non sono ancora documentate. Analogamente, la presenza di Eustreptospondylini (Dubreuillosaurus), Tyrannosauroidi basali (Guanlong ed almeno un altro...) e Carnosauri basali (Monolophosaurus) nel Giurassico Medio deve farci supporre che qualche linea di tetanuri fosse già differenziata nel Giurassico Inferiore (l’altra alternativa è ammettere un’enorme radiazione adattativa di tetanuri proprio durante la lacuna JIM).

Probabilmente, la lacuna JIM ha delle cause geologiche che hanno ridotto le condizioni di fossilizzazione, e non deve essere interpretata alla lettera come una fase di crisi biologica, o di bassa diversità dei teropodi. Nondimeno, fu proprio durante la lacuna JIM che avvenne la principale transizione faunistica nella storia dei teropodi, con la sostituzione dei basali da parte degli averostri.

Speriamo che in futuro la nebbia sul passaggio Lias-Dogger si dissolva.

19 aprile 2008

Gigantoraptor erlianensis Xu, Tan Q., Whang, Zhao & Tan L., 2007

Ricostruzione di Gigantoraptor (da Xu et al., 2007). Le ossa note sono in bianco; in grigio le parti ricostruite basandosi su altri oviraptorosauri. Come molti hanno notato, l'inclinazione della tibia rispetto al femore in questa ricostruzione è probabilmente estesa eccessivamente.



Gigantoraptor erlianensis (Xu et al., 2007), del Santoniano della Formazione Iren Dabasu della Cina, è sicuramente il più spettacolare teropode descritto nel 2007. Questo oviraptorosauro altamente apomorfico (la lunghissima diagnosi della specie consta di decine di apomorfie distribuite lungo l’intera anatomia scheletrica) costituisce una novità totalmente inattesa nel quadro dei celurosauri (ricordo l’esaltante mattina di metà giugno 2007, quando ricevetti il pdf per e-mail da Marco Auditore, che, da appassionatissimo degli oviraptoridi, era letteralmente in estasi... e a ragione, come cercherò di mostrare nel resto del post).
Il primo aspetto straordinario di questo teropode è la taglia: con un femore di 110 cm, l’olotipo doveva avere una massa paragonabile a quella di un giovane adulto di Tyrannosaurus. Considerando che i suoi parenti più prossimi (immesso in Megamatrice risulta l’oviraptoridae* più basale) sono i membri del nodo Oviraptorinae + “Ingeniinae” (uso le virgolette perché il nome dell’oviraptoridae “Ingenia” dovrà essere abbandonato, essendo già in uso per un fottutissimo nematode), aventi masse adulte variabili tra i 20 kg ed i 100 kg, Gigantoraptor risulta veramente un colosso. Gli autori stimano la massa sulla base della circonferenza del femore e la collocano sui 1400 kg, mentre usando la lunghezza del femore (vedere post sulle masse), io la pongo sui 3000 kg. Va sottolineato che non è detto che l’olotipo sia un adulto completamente maturo: l’età stimata sulla base dell’istologia delle sezioni ossee dà l’età della morte dell’esemplare intorno agli 11 anni, con un ingresso nella fase adulta intorno ai 7 anni. Confrontando questi dati con le curve di crescita stimate in altri teropodi, è plausibile che l’animale non avesse ancora raggiunto la fase asintotica (di brusco rallentamento della crescita; Erickson et al., 2004) della crescita tipica degli adulti maturi. In ogni caso, Gigantoraptor mostra un tasso di crescita elevatissimo, segno di un metabolismo molto accelerato. Pertanto, fintanto che il fantomatico Utahraptor “gigante” citato da Britt et al., (2001) non verrà descritto (spero presto, perché, se le dimensioni delle vertebre caudali citate saranno confermate, si tratterebbe del più agghiacciante predatore di tutti i tempi, un dromaeosauride capace di abbattere persino un sauropode... non vado oltre...), e se, come ritengo (vedi post sulle stime di alcuni teropodi giganti), le dimensioni di Therizinosaurus non fossero in realtà quelle che di solito si citano (bensì più basse), Gigantoraptor conserverà il titolo di più grande di tutti i Maniraptora noti.
Un secondo aspetto inusuale di Gigantoraptor è dato dalle proporzioni degli arti. Generalmente, nei teropodi più grandi si osserva un trend allometrico negativo nelle proporzioni distali (tibiotarso e metatarso) rispetto al femore. Gigantoraptor si dissocia da questa tendenza, mostrando rapporti tibiotarso/femore e metatarso/tibiotarso proporzionalmente più alti di quelli di teropodi di taglia paragonabile (in particolare i tyrannosauridi): ciò è particolarmente significativo se si osserva che Gigantoraptor non è dotato di arctometatarso. Con arti posteriori così lunghi è plausibile che Gigantoraptor fosse il più veloce tra i teropodi giganti (io sospetto che con la sua enorme falcata, fosse anche il dinosauro più veloce in assoluto). Dato che il regime alimentare degli oviraptoroidi è estremamente dibattuto non possiamo sapere se questa elevata cursorialità fosse finalizzata esclusivamente alla difesa o avesse un ruolo anche nella (eventuale) predazione.
Terzo aspetto interessante di Gigantoraptor è che esso è l’oviraptoroide avente l’arto anteriore con il maggior numero di caratteri convergenti con i paraviali: avambraccio e metacarpo assomigliano molto a quelli di alcuni deinonicosauri e aviali e meno a quelli di altri oviraptoridi. In particolare, l’arto anteriore è molto allungato per la sua taglia (come l’arto posteriore, in molti altri teropodi esso segue un trend allometrico negativo con la taglia): se ciò sia segno di qualche funzione/adattamento oppure solamente un omologo seriale dell’aberrante allometria della gamba non può essere chiarito coi dati attuali.
In conclusione, Gigantoraptor è un gigantesco oviraptoridae basale, probabilmente il più grande membro di Maniraptora (Utahraptor permettendo), probabilmente il teropode non-neognato col più elevato tasso di crescita noto, la più elevata cursorialità in rapporto alla massa (sempre che un giorno non venga spodestato da Deinocheirus), nonché l’oviraptorosauro avente l’arto anteriore col più alto numero di convergenze con i paraviali.
Ultima curiosità, le caudali distali sono principalmente di osso spugnoso, come nei sauropodi titanosauridi... convergenze da giganti.



*Oviraptoridae Barsbold 1976: Il clade più inclusivo comprendente Oviraptor phyloceratops Osborn, 1924, ma non Caenagnathus collinsi Sternberg, 1940, o Chirostenotes pergracilis Gilmore, 1924.


Bibliografia:

Britt, Chure, Stadtman, Madsen, Scheetz & Burge, 2001. New osteological data and the affinities of Utahraptor from the Cedar Mountain Fm. (Early Cretaceous) of Utah. JVP 21(3) 36A.
Erickson, Makovicky, Currie, Norell, Yerby & Brochu, 2004. Gigantism and comparative life-history parameters of tyrannosaurid dinosaurs. Nature, 430: 772 -775.

Xu, Tan Q., Whang, Zhao & Tan L., 2007. A gigantic bird-like dinosaur from the Late Cretaceous of China. Nature, 844 - 847.

16 aprile 2008

Lavori in corso

Chiedo scusa se qualcuno dei miei dispersi lettori rimarrà deluso da questi giorni di silenzio del blog... mi sdebiterò presto!

07 aprile 2008

Il misterioso (ma nemmeno tanto...) MPCM 13574 (Novas, Dalla Vecchia & Pais, 2005).

MPCM 13574 è un unguale di teropode dal Cenomaniano del Marocco. L’unguale è lungo 12 cm, moderatamente convesso dorsalmente, appiattito ventralmente, simmetrico ed avente la sezione trasversale triangolare. Un marcato processo estensore si proietta prossimodorsalmente alla faccetta articolare. Il tubercolo flessorio è assente: al suo posto, nella regione prossimale della superficie ventrale, è presente una depressione ellittica che ospita una bassa cresta longitudinale. Lungo ciascuna delle superfici laterali corre un solco vascolare parallelo al margine ventrale.

Novas et al. (2005) interpretano l’unguale come appartenente al terzo dito del piede di un teropode di media taglia (comparandolo con Allosaurus, risulterebbe sugli 8 metri di lunghezza). Tuttavia, mancando di chiare sinapomorfie condivise con i teropodi noti, essi si limitano ad attribuirlo a Theropoda indet. Effettivamente, pur presentando alcune sinapomorfie con Abelisauroidea (pronunciato processo estensore prossimodorsale, assenza di tubercolo flessorio, presenza di fossa ventrale), MPCM 13574 non presenta la marcata proiezione laterodorsale delle superfici laterali e la coppia di solchi biforcanti prossimalmente tipica degli unguali del piede degli abelisauroidei (Novas & Bandyopadhyay, 2001). Difatti, Novas et al. (2005) associano l’unguale ad un teropode enigmatico rinvenuto da Stromer nel 1934 e battezzato provvisoriamente “Spinosaurus B”. Questo teropode comprende un unguale simile a MPCM 13574, assieme a cervicali simili a quelle dei carcharodontosauridi ed a resti degli arti di un teropode di grandi dimensioni avente proporzioni relativamente gracili.

Dato che è opinione diffusa che questi resti siano una chimera di almeno due teropodi distinti, l’enigma dell’attribuzione di MPCM 13574 non parrebbe risolvibile.

Io ho un’interpretazione differente dell’unguale, che credo risolva la questione.

Innanzitutto, penso che l’unguale non sia del piede, bensì della mano. La combinazione di caratteri osservata in MPCM 13574 (unguale allungato e simmetrico, avente un singolo solco vascolare laterale, privo di tubercolo flessorio, con marcato processo estensore e con fossa ventrale) è condivisa con gli unguali noti di Noasaurus. Recentemente (Agnolin et al., 2004) questi unguali (inizialmente attribuiti al secondo dito del piede) sono stati reinterpretati come appartenenti alla mano. Quindi, è plausibile che MPCM 13574 appartenga alla mano di un noasauridae. Dato che MPCM 13574 è lungo 3.5 volte l’unguale di Noasaurus, è necessario ipotizzare un noasauridae 3.5 volte più grande di Noasaurus.

Penso che abbiate già capito dove voglio andare...

Qualcuno conosce un Noasauridae gigante, possibilmente del Cenomaniano del Marocco? Deltadromeus! Peccato che non si conoscano dei resti della mano per confermare questa ipotesi...

Il secondo metatarsale di Noasaurus è lungo 12 cm. Lo stesso osso è lungo 42 cm nell’olotipo di Deltadromeus (che, vi ricordo, è un subadulto): pertanto, MPCM 13574 ha proprio la taglia che ci dovremmo aspettare per l’unguale della mano di Deltadromeus.

Ok, è una prova indiziaria, non definitiva. Tuttavia, ipotizzare che MPCM 13574 appartenga a Deltadromeus collima anche con l’ipotesi che esso sia riferibile ad uno dei due teropodi che compongono la chimera “Spinosaurus B”: nelle note all’articolo di Sereno et al. (1996) che istituisce Deltadromeus, gli autori ri-attribuivano i resti degli arti del fantomatico Spinosaurus B proprio ad un adulto di Deltadromeus!

Convinti?

Sotto questa ipotesi, è interessante osservare che MPCM 13574 è morfologicamente intermedio tra gli unguali della mano di Noasaurus e Masiakasaurus (del primo ha la fossa ventrale ed la morfologia dei solchi vascolari, del secondo la forma e la presenza di processo estensore).

Bibliografia:

Agnolin, F., Apesteguia, S. & Chiarelli, P.: The End of a Myth: The Mysterious Ungual Claw of Noasaurus leali. SVP Meeting Abstract 2004.

Carrano, M., Sampson, S., & Loewen, M.: New discoveries of Masiakasaurus knopfleri and the morphology of the Noasauridae (Dinosauria: Theropoda). SVP Meeting Abstract 2004.

Novas F. E. & Bandyopadhyay S., 2001 - Abelisaurid pedal unguals from the Late Cretaceous of India. VII International Symposium on Mesozoic Terrestrial Ecosystems, Buenos Aires, 30-6-2001: 145-149.

Novas F. E., Dalla Vecchia F., & Pais D. F., 2005 – Theropod pedal unguals from the Late Cretaceous (Cenomanian) of Morocco, Africa. Revista Museo Argentino de Ciencias Naturales, n.s., 7 (2): 167-175.

Sereno, Dutheil, Iarochene, Larsson, Lyon, Magwene, Sidor, Varricchio & Wilson, 1996. Predatory Dinosaurs from the Sahara and Late Cretaceous Faunal Differentiation. Science 272(5264): 986-991.

04 aprile 2008

Halszka Osmólska 1930 - 2008

Il 31 marzo, all'età di 78 anni, è deceduto uno dei più importanti paleontologi dell'ultimo mezzo secolo, la professoressa Halszka Osmólska. Il suo contributo nell'ambito dei teropodi è stato enorme, in particolare per i celurosauri della Mongolia. Pur non avendola mai conosciuta direttamente, le mando tutta la mia stima e ammirazione per le sue produzioni scientifiche.
L'unica immagine che ho di questa donna è una foto che ritrae un'anziana signora sorridente circondata da altri colleghi più giovani (credo che fosse un simposio dell'SVP): dall'immagine traspare una persona molto stimata, che avrei volentieri voluto conoscere.
Chiudo con due testimonianze.
Marco Auditore, che mi ha confermato la brutta notizia, ieri:
"Avevo avuto modo di parlare con lei via e-mail qualche anno fa ed era, oltre che una grande paleontologa, una persona assolutamente squisita e gentilissima".
Zofia Kielan-Jaworowska (paleontologa, tra i massimi esperti mondiali di mammiferi mesozoici), da paleoblog.blogspot.com:
"Halszka has been a hard worker, entirely devoted to science. She had a very kind and serene character, with unusual sense of humor, and modesty. She had a long and happy family life with her late husband Tadeusz, and left behind the son, daughter-in-law, and three grandchildren. She will be missed and long remembered by those of us who knew and loved her".

La posizione filogenetica di Alvarezsauridae

Ok, il post precedente era ovviamente un vertebrato non-tetrapode d’aprile... purtroppo, per ora, non esiste alcun resto craniale di Deinocheirus.

Per rimediare (...) allo scherzo ed all’eventuale delusione, ho deciso di parlare di un argomento emerso in appendice a quel post: la posizione filogenetica di Alvarezsauridae.

Alvarezsauridae è sicuramente tra i più enignatici cladi di Theropoda. Le forme più derivate (e meglio note) del gruppo, i Mononykinae (Mononykus, Parvicursor e Shuvuuia), sono bizzarri animali dall’anatomia controversa. L’arto anteriore è aberrante: molto corto, con un omero robusto avente una pronunciata cresta deltopettorale e inserzioni muscolari espanse, ed un solo condilo distale; l’avambraccio ridotto con un processo olecranico ipertrofico; il carpo fuso; il primo dito molto robusto e munito di un unguale più ampio che stretto; mentre il secondo ed il terzo dito sono ridotti e vestigiali. Il resto dell’anatomia è da teropode cursore, mentre il cranio combina tratti degli aviali, dei troodontidi e degli ornitomimosauri. Purtroppo, i rappresentanti basali del clade (i non-Mononykinae: Alvarezsaurus, Patagonykus ed il nuovo entrato Achillesaurus) sono meno noti, e, in particolare, attualmente non hanno alcun resto craniale noto.

Dove si collocano gli alvarezsauridi? Essi sono universalmente riconosciuti come coelurosauri sulla base di almeno queste caratteristiche: il cranio presenta un alto numero di denti, i quali hanno costrizione basale e sono privi di denticoli; la coda ha il punto di transizione posto a livello della 10a-14a caudale. Ma dove si collocano tra i coelurosauri? Da quando sono stati riconosciuti come gruppo monofiletico ed inseriti in analisi filogenetiche, gli alvarezsauridi sono stati collocati in numerose posizioni contrastanti all’interno di Maniraptoriformes: all’interno di Aves (Novas, 1996); oppure sister-group di Ornithomimosauria (Sereno, 1999); oppure sister-group di Eumaniraptora (Holtz, 2000); o come Maniraptora basali (Norell et al., 2001 e successive modifiche della loro matrice, il cosidetto “Theropod Working Group”, TWG); oppure sister-group di Aves (Novas & Pol, 2002).

Con Megamatrice è possibile testare tutte queste diverse ipotesi, per vedere quali siano migliori interpretazioni dei dati attuali (ovvero quali descrivano la distribuzione nota dei caratteri con l’ipotesi più parsimoniosa).

Prima di continuare, accenno che Megamatrice identifica tra i membri di Alvarezsauridae assieme ai generi citati sopra anche un genere di teropode molto controverso. Inoltre, una coppia di altri teropodi altrettanto enigmatici risulta sister-group diretto di Alvarezsauridae, e forma con quest’ultimo il clade Alvarezsauria. Per ora, non voglio rivelare i nomi di questi inattesi (ma neanche tanto) membri di Alvarezsauria (non provate ad insistere, sarò muto come un vertebrato non-tetrapode!).

Ecco i relativi gradi di plausibilità delle ipotesi filogenetiche citate prima, quantificati col numero di passi evolutivi che occorre aggiungere al risultato della Megamatrice per ottenere le diverse posizioni alternative di Alvarezsauridae. Partendo dalla meno probabile:

A. Gli alvarezsauri sono uccelli più derivati di Archaeopteryx (Novas, 1996). Sebbene sia probabilmente la più discussa e nota tra le ipotesi filogenetiche proposte per gli alvarezsauri, l’ipotesi che gli alvarezsauri siano degli uccelli atteri più derivati di Archaeopteryx è altamente poco parsimoniosa: imponendo questa topologia con Megamatrice, si ottiene un albero che è di ben 41 passi evolutivi più lungo (e quindi meno plausibile in termini di parsimonia) dell’albero più parsimonioso (che d’ora in poi chiamerò TPP: topologia più parsimoniosa).

B. Gli alvarezsauri sono aviali basali (ovvero, sono più vicini agli uccelli moderni rispetto ai deinonichosauri) (Novas & Pol, 2002). Anche questa ipotesi è poco plausibile, dato che è 35 passi evolutivi più lunga della TPP.

C. Gli alvarezsauri sono sister-group degli ornithomimosauri (Sereno, 1999). Questa ipotesi è stata ampiamente criticata dai sostenitori dello status aviale (ipotesi A e B). Eppure, essa è più plausibile delle due precedenti. Tuttavia, essa non è la migliore interpretazione dei dati, essendo 12 passi più lunga della TPP.

D. Gli alvarezsauri sono paraviali basali, sister-group di Eumaniraptora (Holtz, 2000). Questa ipotesi è altamente probabile sulla base delle evidenze attuali, in quanto è solamente un passo evolutivo più lunga della TPP.

E. Gli alvarezsauri sono Maniraptora basali, sister-group del clade “Oviraptorosauria + Paraves” (Senter, 2007). Questa ipotesi è il risultato della più recente e completa versione del TWG, e coincide con la mia TPP, il risultato più parsimonioso della Megamatrice. Tuttavia, come ho detto sopra, basta ammettere un solo passo evolutivo in più per avere la topologia D (Holtz, 2000), ovvero, scambiando di posizione Oviraptorosauria ed Alvarezsauridae.

A sinistra, diagramma semplificato di Maniraptoriformes, con indicate le principali ipotesi alternative sulla posizione di Alvarezsauridae.

Dato che le due ipotesi D ed E differiscono di un solo passo evolutivo, la scelta della TPP deve essere considerata come provvisoria: nuovi dati e nuovi taxa potranno sicuramente modificare questi risultati. In particolare, la posizione di Therizinosauria rispetto ad Oviraptorosauria ha profonde conseguenze sulla posizione di Alvarezsauridae: nei casi in cui i therizinosauri sono risultati oviraptoriformi, l’ipotesi di Holtz (2000) tende ad essere più robusta. Attualmente, comunque, Megamatrice conferma il risultato di Senter (2007): gli alvarezsauri come sister-group del gruppo comprendente oviraptorosauri e paraviali, mentre i therizinosauri occupano una posizione più basale degli alvarezsauri all’interno dei maniraptori.

Bibliografia:

Holtz, T. R.Jr., 2000 - A new phylogeny of the carnivorous dinosaurs. Gaia 15: 5–61.

Norell M. A., Clark, J. M. & Makovicky, P. J. 2001. Phylogenetic relationships among coelurosaurian dinosaurs. In Gauthier, J. & Gall, L. F. (eds) New Perspectives on the Origin and Evolution of Birds. Yale University Press, New Haven: 49 - 67.

Novas F.E., 1996 - Alvarezsauridae, Cretaceous basal birds from Patagonia and Mongolia. Memoirs of the Queensland Museum 39: 675–702.

Novas F. E., & Pol D. 2002. Alvarezsaurid relationships reconsidered. In Chiappe, L. M. & Witmer, L. M. (eds) Mesozoic Birds. Above the Heads of Dinosaurs. University of California Press, Berkeley: 121 - 125.

Senter P., 2007 - A new look at the phylogeny of Coelurosauria (Dinosauria: Theropoda). Journal of Systematic Palaeontology.

Sereno P.C., 1999 - The evolution of dinosaurs. Science 284: 2137–2147.

01 aprile 2008

Il Cranio di Deinocheirus mirificus: PDA IV/08

Deinocheirus mirificus Osmolska & Roniewicz (1970) è stato per quasi quaranta anni un enigma della paleontologia. L’olotipo ed unico esemplare noto (fino a poco tempo fa), ZPAL MgD-I/6, è un cinto pettorale con arti anteriori quasi completo dalla Formazione Nemegt del Maastricthiano della Mongolia. Le dimensioni enormi dell’esemplare (è il più lungo omero di animale bipede che si conosca: 94 cm!), associate agli ampi e robusti unguali hanno portato ad interpretarlo come un gigantesco teropode predatore. Tuttavia, esso presenta numerose affinità con gli ornithomimosauri ed è quasi universalmente riconosciuto come una forma di ornithomimosauro basale (non-ornithomomidae) gigante. Sulla base di questa inferenza filogenetica, Deinocheirus è stato ricostruito con una testa simile a quella degli altri ornitomimosauri: muso basso ed allungato, grandi orbite, narici ridotte e rostrali, denti assenti oppure estremamente ridotti, probabile ranfoteca. La recentissima descrizione di un cranio quasi completo di teropode dalla Formazione Nemegt (Barsbold et al., 2008), rinvenuto in stretta associazione con elementi dell’arto anteriore aventi forma e taglia identiche all’olotipo di Deinocheirus ha avuto delle profonde implicazioni nella nostra attuale interpretazione di questo teropode. Il cranio è articolato con elementi cervicali poco conservati che si prolungano in direzione di una scapola e di alcuni metacarpali identici a ZPAL MgD-I/6. Appare quindi probabile che questi resti siano articolati ed appartenenti ad un unico individuo.

Il cranio è conservato in vista dorsale: premascellare, nasale, lacrimale, prefrontale, frontale e parte del parietale sono preservati. Il premascellare è estremamente aberrante: esso è più ampio che lungo, fuso al nasale, di cui forma una sorta di cucchiaio rostrale espanso. Il muso, in vita, doveva avere una forma a “T”. Il nasale è lanceolato, ed articola con una curiosa articolazione al prefrontale che ricorda Shuvuuia. Il prefrontale è ampio e munito di un processo dorsale (un corno?). Il frontale è trapezoidale e forma un’articolazione a “W” col complesso naso-lacrimale.

Immessi questi nuovi dati in Megamatrice, si ottiene una curiosa topologia alla base di Maniraptoriformes: Alvarezsauridae diventa sister-group di Ornithomimosauria, mentre Deinocheirus è alla base di questo nodo. Ciò parrebbe avvalorare l’ipotesi di Sereno che vedeva gli alvarezsauri affini agli ornitomimosauri.

Bibliografia:

Barsbold, Currie, Norell, Kobayashi & Fish, 2008 - The skull of the enigmatic theropod Deinocheirus. The April Journal of Ichthyology 28: 125-133.